Festa dell’Annunciazione di Maria SS., 1925

 

 

 

Ai Venerabili nostri fratelli Sacerdoti

 pace e Benedizione da Gesù Cristo Signor nostro!

 

 

 

L

’approssimarsi delle Sante e Maggiori Solennità della Pasqua, in quest’anno giubilare, anno di redenzione e di salute, Ci riempie l’animo di commozione profonda, e Ci eccita ad intrattenerCi, come padre, in dolci colloqui con Voi, porzione eletta del gregge affidatoCi, per effondere quegli affetti di cui il Nostro cuore rigurgita, e per lasciarvi quasi un ricordo, che equivalga al Nostro testamento. Né vi stupisca questa Nostra espressione: che di anni giubilari Noi non ne vedremo più, essendo la Nostra età già volta al pendio, e precipitando verso la fine.

Di giorno e di notte, nei momenti della preghiera e nelle ore della veglia, la Nostra anima si rivolge a Voi, Venerabili Fratelli Sacerdoti, Nostro gaudio e Nostra corona: a Voi che dividete con Noi le fatiche dell’apostolato, e la tremenda responsabilità dell’officio pastorale. Noi vi portiamo tutti scritti nel cuore, e, Dio Ci vede che non mentiamo, vorremmo esser vicino a ciascheduno di Voi, per esservi di conforto nelle vostre pene, nei vostri sacrifici, nei vostri sudori, per farvi toccar proprio con mano che tra il Vescovo ed ogni suo Sacerdote vi sono le stesse aspirazioni, le identiche vedute, che uno è lo spirito che ci anima, una la meta cui aneliamo: Quis infirmatur, et ego non infirmor, quis scandalizatur et ego non uror? (Chi è debole  che io non sia debole in lui, chi è scandalizzato che io non mi accenda?)

 

Conosciamo e misuriamo le difficoltà che incontrate quotidianamente nell’esercizio del vostro ministero: abbiamo dinnanzi agli occhi le desolazioni delle vostre solitudini, l’asprezza dei luoghi dove siete costretti a passare la vita; vi seguiamo col pensiero quando tra l’imperversare delle bufere vi tocca correre per nevi e per fango a soccorso degli ammalati, od in cerca di anime agonizzanti; siamo con Voi quando nei giorni festivi dovete ancor digiuni intraprendere lunghi viaggi, per celebrare la seconda Messa a comodo di lontane popolazioni. Vi vediamo nelle vostre povere case, non sempre ben riparate, passare i giorni uggiosi e lunghi del verno lontani dal consorzio umano, e ammiriamo la nobiltà del vostro eroismo, sconosciuto dalla maggior parte degli uomini, ma scritto a caratteri d’oro nel libro di Dio, che giusto retributore, sta preparando il premio da Voi meritato.

Ed è appunto in vista di tanti vostri disagi che, a differenza del mondo il quale non tiene conto dei vostri meriti, ed è sempre pronto ad esagerare i vostri difetti, io compatisco le debolezze inseparabili della nostra corrotta natura umana; e, se qualche volta a malincuore siamo costretti a richiamare alcuno sulla santità dei nostri doveri, non intendiamo punto di farlo colla severità del giudice, ma colla ineffabile tenerezza del padre. E più che mai lo vogliamo fare in quest’anno, che è anno di giubileo, cioè anno di remissione e di perdono: perché se la nostra pietosa madre la Chiesa apre a tutti i suoi figli le viscere della sua misericordia, eccitandoli a ritornare alla santità della vita cristiana; certo prima d’ogni altra cosa essa brama che, rinnovellati nello spirito i suoi Ministri, tolta ogni ombra che ne offuschi lo splendore, abbiano a brillare come gemme sulla sua veste di sposa di Gesù Cristo.         

Sì, Venerabili fratelli: se mai ce ne fosse bisogno, Emendemus in melius quae ignoranter preccavimus (Correggiamo al meglio ciò in cui per ignoranza abbiamo peccato) ; e rimettiamoci sul sentiero di quella santità che non solo è ornamento indispensabile del nostro altissimo ministero, ma è anche un preciso dovere del nostro stato. Lo comprendiamo, lo vediamo: è assai difficile camminare ogni giorno in mezzo a tanto fango, quanto contamina la società umana dei nostri giorni, e non restarsene più o meno insozzati. Ma se “Angustiantur vasa carnis” (si restringano i vasi della carne), facciamo in modo che “dilatentur spatia Charitatis” (si dilatino gli spazi della carità). Sì, fratelli, amiamo, amiamo forte, amiamo incessantemente. Amiamo nostro Signore, e per accenderci sempre più di questo amore verso Iddio, manteniamoci in istretta relazione con Lui. Nella preghiera assidua, nella quotidiana meditazione delle verità esterne, nella fervorosa celebrazione della Santa Messa, nella Visita affettuosa e frequente al SS. Sacramento cerchiamo quella unione con Dio che sola può preservarci dagli inquinamenti dell’ambiente che ne circonda. Rammentiamoci sempre le parole dell’Apostolo: “Nostra conversatio in coelis est(il nostro desiderio è nei cieli), e quindi teniamo sempre fisso lo sguardo alle cose celesti, perché non ci abbagli la fatua luce delle miserabili cose di quaggiù. E quando la fiamma delle nostre basse passioni tenta di erompere e di divampare, quando l’acre fumo che da essa si solleva cerca di offuscare la nostra intelligenza, e di suggerirci esser troppo infelice la vita nostra se non la confortiamo con qualcuna delle soddisfazioni a cui agogna il nostro cuore guasto, rammentiamoci la risposta del Divino Maestro al tentatore: “Non in solo pane vivit homo1(non di solo pane vive l’uomo); e  solleviamoci tosto ad inebriarci in quel torrente di voluttà spirituali che sgorga dalla Parola di Dio, dalla Scrittura Santa, dalle immortali pagine del Vangelo, e dei Padri: “Ama scientiam Scripturarum, et vitia carnis non amabis(ama la scienza della scrittura e non amerai i vizi della carne).

Torniamo, o miei cari Sacerdoti, torniamo ai nostri libri, ai nostri studi, alla nostra Dogmatica, alla nostra Morale; ritiriamoci nella nostra stanza, non lasciamo dormire polverosi i volumi che formarono la delizia della nostra giovinezza, dei nostri belli anni di Seminario. Oh quante pure gioie vi ritroveremo! Come si dissiperanno le nebbie che tentano di avvolgerci, e come ringiovanirà il nostro spirito, tornando “ad Deum qui laetificat juventute, mean(A Dio che rende lieta la mia giovinezza)! E, se mai per somma sventura le tentazioni del demonio, le lusinghe del mondo, la dissipazione dello spirito, ci avessero teso delle insidie “laqueum paraverunt pedibus meis(hanno teso un laccio ai miei piedi); rivolgiamoci subito a Dio ricorrendo al Sacramento della rigenerazione, buttiamoci ai piedi di un confessore santo ed esperto, e con tutta sincerità ripetiamo le parole del Salmista “eripe me de luto ut non infigar”2 (toglimi dal fango così che non sprofondi).

Rinnovati così nello spirito, ripieni di quel fuoco che Dio per sua bontà accende nei nostri cuori, “Tamquam leones ignum spirantes, facti diabolo terribiles(come leoni che soffiano fiamme, divenuti terribili al diavolo) accingiamoci con maggior zelo che mai alla grande conquista, alla conquista delle anime, alla dilatazione del regno di Dio. E prima di ogni altra cosa serriamo le file, mettiamoci in ordine di battaglia ciascuno al suo posto, nella disciplina, nella perfetta obbedienza ai nostri capitani.

A nulla vale la generosità dei soldati, a nulla approda il loro valore, se non vi è la dipendenza assoluta dai comandanti, la concordia nelle mosse, la tattica nelle avanzate, l’unanimità negli scontri.

Il nostro eterno ed implacabile nemico, il demonio, sa a meraviglia il gran danno che gli arreca l’azione disciplinata e concorde del Clero; e con quella astuzia, che in ogni tempo ha fatto la sua fortuna, cerca di dividerlo, di ribellarlo ai suoi Superiori, di seminarvi in seno le discordie, le invidie, le gelosie.

Nostri carissimi e venerandi Fratelli, vi scongiuriamo in visceribus Christi (sul corpo di Cristo), sia vostro lustro e decoro la più perfetta concordia tra di voi, la più sincera obbedienza, la più tenera carità: Fratres diligite alterutrum (Fratelli amatevi l’un l’altro). Aiutatevi l’uno con l’altro a fare il bene, comunicatevi a vicenda amichevole le vostre speranze, i vostri sforzi per la conquista delle anime; mettetevi di comune accordo pel conseguimento di qualche bene a vantaggio del popolo a voi affidato. Sopra tutto e prima di tutto si accenda fra di voi una santa gara per l’incremento del Culto, e per la maestà delle funzioni religiose; si veda tra di voi un nobilissimo slancio nell’abbellire la vostra Chiesa parrocchiale che è la vostra sposa, che è il luogo preferito da ogni buon Sacerdote per versare il suo cuore dinnanzi a Dio, e per compiervi le più grandi e sante opere del proprio ministero. La chiesa rispecchia l’anima del Sacerdote che la funziona; se essa è monda, è mondo anche il cuore di lui; se essa è trascurata, è tiepido il prete che la coltiva; se è orrida ... oh Dio! Non oso compiere la frase. Nella S. Messa e nelle funzioni osservate con fedeltà le prescrizioni liturgiche: non si veda dir Messa da morto nei giorni vietati, oppure dire la Messa de’ communi, perché nel messale vecchio finito manca la Messa propria! Non si veda con iscandalo negli altari, quella sordidezza nei paramenti che lascia assai dubitare della fede di colui che celebra la sacra funzione!

            Vi raccomandiamo sopra ogni cosa il grande ministero della predicazione. La parola di Dio è quella spada molto più penetrante di ogni gladio ancipiti (spada a doppio taglio), che arriva ai cuori, illumina le menti, fuga le tenebre dell’ignoranza, dissipa le nebbie del vizio, semina i germi delle virtù cristiane. E qui permettetemi che alzi forte la mia voce contro quei, fortunatamente pochi, pastori di anime, talmente noncuranti delle proprie pecorelle, così poco premurosi della propria eterna salute e dell’altrui, che mancano perfino al dovere così grave e così importante di spiegare il Vangelo e di fare la dottrina. Ma non si ricordano più questi infelici che, così facendo, sono in istato continuo di peccato mortale? Che sono i carnefici dei propri figli, i ladri del beneficio che essi sfruttano, i traditori della Chiesa che loro ha affidato il delicato tesoro delle anime? “Veh pastoribus Israel! Nonne pascebant semetipsos? (Guai ai  pastori d’Israele. Non pascevano forse se stessi)” Crudeli, e non sentono il grido straziante di chi loro chiede il cibo della vita? “Parvuli petierunt panem, et non erat qui frangeret eis” (I piccoli chiesero il pane e non c’era chi glielo spezzasse)! Ci arrivano talvolta all’orecchio i lamenti di qualche anima buona, che grazie a Dio ve n’ha ancora da per tutto, la quale Ci dice con giusto rammarico: Il nostro curato non spiega quasi mai il Vangelo, non fa che assai di rado il catechismo ai piccoli, non spiega mai la dottrina agli adulti! Qualche volta sono commissioni di parrocchiani, che ricorrono al Vescovo perché metta rimedio a questa fenomenale trascuranza! Ma, e che possiamo fare Noi, povero uomo, se ai Nostri moniti si risponde da questi tali nei loro intimi colloqui colla derisione e col disprezzo? Lo sappiamo, dovremmo ricorrere alle pene canoniche. Ma se lo facessimo convertiremmo questi infelici? Ah lo sappiamo, lo credano: il Nostro cuore vi piange. Vorremmo vincerli coll’amore, vorremmo conquistarli colla intima convinzione delle loro anime, non colla violenza delle punizioni. Temano la giustizia di Dio, che sarà tanto più terribile, quanto più grande è la dignità di chi la provoca, e la colpa di chi la sfida!

Un’altra insidia, e non meno pericolosa, tende di continuo il demonio ai Sacerdoti: ed è quella di assorbirli talmente cogli interessi materiali e coi negozi secolareschi, da farli dimenticare quasi completamente il loro fine che è “cooperari Deo in salute animarum3 (cooperare con Dio per la salvezza delle anime). Girando per varie Diocesi a dare le S. Missioni, abbiamo avuto occasione di conoscere alcuni preti, i quali sono ottimi agricoltori, ma pessimi pastori. Dal podere della parrocchia sanno cavare tesori di quattrini, dal campo spirituale delle anime non sanno raccogliere che sterpi e spine. Hanno ridotto il podere ad un giardino, ed hanno fatto della parrocchia un ginepraio. Dal vigneto raccolgono vini scelti, dalla cura d’anime raccolgono labrusche. In Città si fanno i mercati, e vi accorrono; si fanno i ritiri Sacerdotali e non intervengono. Il bestiame prospera; le anime intristiscono; la borsa si riempie, il cielo si spopola; il mondo ride, la Chiesa piange. Arrivano costoro al fin della vita: i nepoti tripudiano, gli eredi s’ingrassano, le case del beneficio crollano, i buoni gemono ... quomodo obscuratum, est aurum, mutatus est color optimus ... dispersi sunt lapides sanctuarii in capite omnium platearum! (come è diventato scuro l’oro ... si è cambiato il colore bellissimo, si sono disperse le pietre del santuario, in cima a tutte le vie)

Intendiamoci, fratelli Sacerdoti: non che Noi disapproviamo la sollecitudine del Parroco anche nel curare la prebenda, e fare che essa frutti quanto più sia possibile. Vi lodiamo anzi, se lo fate, poiché è vostro dovere; ed è anche un mezzo per darvi campo a far del bene. Ma non dimentichiamo che il beneficio è propter officium (per l’ufficio), e non viceversa. Quindi la parte migliore del vostro tempo e delle vostre energie sia dato al campo spirituale, alle anime. Vi prema il grano ed il vigneto, ma vi interessi prima, e molto più, avere frequentata la Chiesa, avere ogni giorno molte anime che si accostano ai Sacramenti, avere fiorente il vostro Circolo giovanile, rigogliosa l’unione delle Donne Cattoliche, sia ragazze che spose. Cresca pure la raccolta nel podere, ma si intensifichi la coltura cristiana del vostro popolo, sia fiorente la scuola della Dottrina dei vostri piccoli, frequentata l’istruzione religiosa degli adulti, costituito il gruppo degli uomini cattolici. E se in capo all’anno, coi vostri risparmi avete saputo mettere insieme una qualche somma, rammentatevi che la Banca più sicura, e che non fallisce, è quella della carità cristiana, della Divina Provvidenza. Vi è il Seminario che abbisogna dei vostri aiuti, che è consolantemente cresciuto di numero, e che deve aprire le porte alle più frequenti vocazioni.

Fa arrossire il pensiero che muoiono talvolta dei parroci, lasciando ai parenti migliaia e migliaia di lire; e non si ricordano che la loro fortuna fu fatta mediante i beni della Chiesa. Lasciano ai nepoti che forse sciuperanno ogni cosa nei vizi e nella irreligiosità: andranno questi preti forse in Purgatorio, e non avranno dai tristi eredi nemmeno il conforto di un suffragio. Potrebbero lasciare una parte almeno di quei beni alla amministrazione del Seminario, ed avrebbero qualche Sacerdote novello che si ricorderebbe di loro; sfuggirebbero alle sanzioni della Divina Giustizia che domanderà loro stretto conto dell’uso fatto dei frutti del beneficio. Ma, finora almeno, non ci fu pericolo che alcuno se ne ricordasse; anzi vi fu chi non ha lasciato neppure una Messa per la propria anima ... Che scandalo presso i Fedeli!

 

Un’altra istituzione è sorta per il bene di tutta la Diocesi: l’Ospizio del S. Cuore per gli Orfani e derelitti. Il suo scopo è eminentemente religioso ed altamente umanitario: la salvezza della gioventù abbandonata. Vi sono degli orfani - e dove non ve ne sono? - molti dei quali perduti i genitori, diventano i figli di nessuno, il fango della strada. Chi se ne occupa? Saranno i monelli di domani, i malviventi di qualche anno appresso. Raccogliamoli, educhiamoli cristianamente, mettiamo loro nel cuore quei germi di fede e di moralità, che, anche se assopita per qualche tempo, si risveglierà più tardi e li salverà. Ma l’opera è ardua, è dispendiosa. La carità Cristiana, quantunque ammirabile, non basta; è necessario che il Clero tutto della Diocesi prenda a cuore la giovane istituzione, che la caldeggi presso il popolo alle sue cure affidato. Ci vogliono dei fondi, dei lasciti! Nostri buoni preti, mettete insieme qualche cosa, e date molto a quest’opera santa. Sulla vostra fossa non mancherà mai un fiore: il fiore della preghiera dei fanciulli salvati dalla strada, a cui fu ridonata la gioia dei perduti genitori. Quest’opera è combattuta da alcuni; altri la vorrebbero più perfetta. La osteggiano i settari, e se ne capisce la ragione; la vorrebbero più perfetta coloro che non sanno quanto costi il mandarla innanzi. Dateci i mezzi, e vedrete come essa si svilupperà, ed accontenterà anche il gusto dei più incontentabili.

Ma quello che deve stare maggiormente a cuore d’ogni buon prete è il risveglio della vita cristiana nelle famiglie e nella società. Due funestissime piaghe hanno fatta ammalare la società presente, e sono la indifferenza religiosa e il libertinaggio. Godere la vita e non riconoscere la Divina Legge sono le norme  che regolano i costumi dei nostri tempi. E come non deve piangere il cuore dei Nostri Sacerdoti alla vista di tante rovine che si vanno accumulando sul nostro gregge, per causa di questi due gravissimi mali! Ma fratelli, non basta a porvi rimedio uno sterile pianto: non bisogna accontentarsi di deplorare, bisogna affaticarsi a ristorare.

E cominciando dai rimedi che possono in qualche modo combattere la indifferenza religiosa, e risvegliare la fede, mettiamo come primo le S. Missioni da farsi frequentemente al popolo.

Fratelli, abbiamo bisogno di Missionari veramente atti alla grande impresa: “Rogate Dominum messis, ut mittat operarios in messem suam!”4  (Pregate il Signore della messe, perché mandi operai per la sua messe) Era stato sempre un caro sogno quello di aprire una casa di Missionari nel Nostro venerato Santuario di Canoscio; e finalmente quel sogno si va lentamente convertendo in realtà. Il buon Padre Oblato D. Giovanni Bussoni, che ci fu con somma gentilezza concesso dal santo Vescovo di Padova Mons. Elia Dalla Costa, e che attualmente è rettore del Santuario stesso, è la prima pietra del desiderato edificio: a lui si è associato con generosissimo animo il nostro giovane Sacerdote Diocesano D. Silvio Palazzoli; e speriamo che altri, imitandone lo zelo ardente e disinteressato vengano a dividere con lui le fatiche e le gioie dell’apostolato.

Sono gli Oblati Missionari che da Maria SS. di Canoscio prenderanno il nome, una Congregazione Diocesana di Sacerdoti, i quali per amore di Dio e delle anime si offrono con speciale voto di obbedienza al Vescovo, perché di loro si serva con pienissima libertà nei vari ministeri Sacerdotali di cui abbisogna la Diocesi; e specialmente nel ministero delle S. Missioni, da darsi al popolo. Vivono ordinariamente in comunità con speciali regole, tolte in gran parte da quelle stabilite per gli oblati dei grandi Vescovi S. Carlo Borromeo e B. Gregorio Barbarigo. Hanno dalla Comunità il vitto, il vestiario, ed un proporzionato compenso per venire in aiuto della loro famiglia che versasse in bisogno. Devono addestrarsi al genere di predicazione che si confà alle Missioni stesse, ed al genere di vita che si addice a chi va a compiere in mezzo al popolo un ufficio tutto apostolico.

Raccomandiamo pertanto ai nostri buoni Preti questa santissima opera; ed ai più giovani che se ne sentissero invogliati diciamo di non fare i sordi alla chiamata del Signore, ma di affrettarsi ad esporre al Vescovo il proprio desiderio.

A fianco poi degli Oblati è Nostro desiderio che sorga un nucleo di Sacerdoti i quali si obblighino ogni anno a dare in compagnia degli Oblati, o sotto la loro direzione, almeno due corsi di missioni. Chi volesse prestarsi a questo aiuto missionario, ne parli o col Superiore degli Oblati o direttamente con Noi.

 

I Rev. Parroci poi si ricordino la grande importanza della Missione, e facciano in maniera che almeno ogni cinque anni essa sia data nella propria cura; che questo è il modo migliore per risvegliare la fede e la pietà nei popoli. La preparino di lunga mano, col parlare ripetutamente in precedenza ai propri figli, col scegliere il tempo più propizio per comodo della popolazione, col disporre la Chiesa in modo che si conosca come qualche cosa di straordinario sta per compiersi in essa. Facciano pubbliche preghiere, e ne raccomandino di private per la buona riuscita della Missione stessa. E nei giorni della Missione si eviti in Canonica qualsiasi pranzo o ritrovo affinché i fedeli capiscano che è tempo di ritiro e di penitenza anche per i Preti.

Per conservare il frutto della Missione è necessario che il parroco coltivi ciò che dai Missionari è stato seminato; curi la frequenza dei Sacramenti; si mostri sollecito di ascoltare le Confessioni, desideroso di avere ogni giorno persone che si accostino alla S. Comunione; si dedichi con tutta pazienza e carità a mantenere vivo il fervore nelle associazioni cattoliche che o esistessero, o sorgessero in seguito alla Missione stessa.

Quest’anno poi in particolare deve ogni buon Parroco caldeggiare il Pellegrinaggio a Roma per l’acquisto del S. Giubileo. Dite ai fedeli che non è poi una cosa tanto difficile, né tanto dispendiosa il recarsi a Roma; che con circa trecento lire si fa tutto; che avremo la consolazione di vedere il S. Padre e di riceverne la Benedizione; che saranno giorni indimenticabili quelli che passeremo nella Città dei Martiri e dei primi Santuari del Mondo. Ma affrettateci a raccogliere le adesioni, che ormai il tempo è vicino, e bisogna disporre ogni cosa per la buona riuscita. Il Can. Monsignor Bologni aspetta con ansia i nomi dei pellegrini; fate presto e portatene molti.

Non dimenticatevi che la Domenica di Passione è la grande Giornata Universitaria. E’ il S. Padre che la vuole, è la necessità che la impone. Non dobbiamo esser secondi a nessuno nel zelare quest’opera che ci darà fra breve Medici, Avvocati, Professori, professionisti cattolici, e sarà tolto dall’Italia l’obbrobrio di vedere la classe colta apostata da Dio e dalla Religione.

Prepariamoci anche ad un altro avvenimento, il Centenario della nostra Santa Veronica, che celebreremo nell’anno 1927 assieme ad un solenne Congresso Eucaristico Diocesano. Per celebrarlo degnamente sono necessarie forti spese: ogni Parroco si metta all’opera subito e si ricordi che in media ogni parrocchia dovrà concorrere con cinquecento lire. Fatene capire al popolo la importanza, e vedrete che riusciremo nell’impresa.

Per il popolo quest’anno non scriviamo la Pastorale: basta quella dei Vescovi dell’Umbria che già avrete ricevuta.

Ci basta di aver parlato a Voi, carissimi Confratelli; e speriamo che con lo zelo che tanto vi onora, farete ogni sforzo per accontentarCi.

Dio vi ricolmi di ogni bene, mentre il Vostro Vescovo con tutto il cuore vi benedice.

 

Dalla Nostra Residenza, Festa dell’Annunciazione di M. SS., 1925.

 

X CARLO Vescovo

 

 

 

 

1   Matteo 4,4

2   Psalmus 68

3   Romani 13, 28

4   Luca 10, 2

 

 

 


 

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