6 marzo 1932

 

 

 

Venerabili Confratelli in G.C. e dilettissimi figli

 

 

C

onfortati e commossi per la premura con cui siete intervenuti alla ultima giornata di ritiro, vincendo le difficoltà del tempo e della stagione, nel mentre ve ne rendiamo pubbliche grazie in questa Nostra Lettera Pastorale, vogliamo aggiungere qualche cosa a ciò che fu detto in quel giorno, a maggior frutto delle anime, e per rendere più proficuo il nostro ministero. La bontà di cuore che vi contraddistingue, e la retta intenzione che vi guida, farà in maniera che le Nostre parole siano ad edificazione, e non a distruzione, e siano intese nell’unico senso in cui le scriviamo: la maggior gloria di Dio, e la salute dei figli alle Nostre cure affidati.

E’ veramente strano, e non facile a spiegarsi il fatto che abbiamo quotidianamente sott’occhio: la difficoltà economica che rende così disagiata la vita e la sete sempre crescente nel popolo di inutili svaghi, e di profani divertimenti. Mai come nel carnevale ultimo passato, si è fatto sfoggio in tutte le classi sociali, di cene, di balli, di veglie; si sono profusi danari per allestire lauti pranzi, per preparare sontuosi ritrovi; e mentre si teme un domani, che presentasi più che mai oscuro, si vive oggi con una spensieratezza spiegabile soltanto in chi nuota nell’opulenza, e di nulla abbisogna. Ed è oltre ogni dire deplorevole che in molti luoghi queste orgie pressoché pagane, e così palesemente contrarie al senso ed ai principi della nostra fede Cattolica, specialmente poi nei giorni in cui era già iniziato il sacro tempo della Quaresima, siano state organizzate e volute, o sotto l’egida di quella Bandiera Nazionale che oggi incarna così bene concordata la Religione e la Patria, o colla apparente approvazione, od almeno col non lodevole intervento di persone rivestite di quella dignità ed autorità che in tanti modi professa il suo rispetto per la Cattolica Fede.

E ciò che maggiormente amareggia il Nostro cuore, e scuote l’animo al timore ed alla preoccupazione, in mezzo a questi disordini è il vedere come il vieto anticlericalismo massonico di altri tempi, mascherato e cammuffato in nuove forme, tenta di scalzare i fondamenti e le basi della vita cristiana, o colla noncuranza dei precetti Ecclesiastici, o colla rilassatezza nella serietà dei costumi, sia nella procacità del vestire, sia nella libertà del trattare e del parlare, sia nella sguaiata famigliarità delle conversazioni e dei ritrovi, tale da rievocare le viete costumanze del paganesimo.

Né sono risparmiate le Chiese: sia in città che in campagna si vedono intervenire alla S. Messa ed alle sacre funzioni certe persone, che e per il sostegno che tengono o per il posto che occupano, lasciano scorgere il fine che ve li guida; il voler fare quella casa di Dio un luogo di geniale ritrovo, se non anche peggio, cogli sguardi, coi sorrisi, coi cenni, una casa di peccato.

Ma dove maggiormente resta sconfortato lo spirito sacerdotale è nell’abuso dei Sacramenti, un tempo pur troppo non erano affatto frequentati; e prova ne sono le minuscolissime pissidi che formano il corredo antico di tutte le nostre Chiese. Eccettuata la Pasqua, e forse qualche altra solennità dell’anno, il tabernacolo non si apriva mai; ed i confessionali erano albergo indisturbato dei ragni, che con tutto comodo vi costruivano le loro tele.

Oggi, grazie a Dio, non è più così; in città e nei centri le comunioni si contano a centinaia ed a migliaia: il tabernacolo non è più deserto; il confessionale è talvolta assediato. Ma non datevi a credere però che dorma il demonio; che dove non riesce ad impedire la frequenza dei sacramenti, si sforza in tutti i modi per renderne vano il frutto, e se gli riesce, di cambiare in veleno la celeste manna, che il cielo abbondantemente fa piovere.

Sì, o Nostri amati confratelli: non sono davvero pochi coloro che senza le dovute disposizioni si accostano all’altare, od al confessionale. La prova ce la abbiamo nel vedere come certi disordini anziché diminuire, accennano a perpetuarsi, o forsanche a dilatarsi ed a crescere, anche in persone che apparentemente si sono date alla pietà. E prima d’ogni cosa mettete pure l’orrendo vizio della bestemmia, così comune, specialmente fra gli uomini. Caso raro trovare un contadino che non bestemmi. E nomino i contadini; perché quantunque sia vero che non sono meno rei di tal delitto gli operai, è per altro vero che questa classe è molto meno praticante di quella dei contadini, e vantasi incredula; mentre la classe dei contadini si professa cristiana; ed in gran parte si accosta ai sacramenti. La vera causa di un male così grave sta tutta nella ignoranza, sia della morale cristiana, sia delle disposizioni necessarie per accostarsi ai sacramenti; ché una gran parte di costoro non sentono mai la parola di Dio; e forse non hanno neanche il mezzo di sentirla: e si accostano ai sacramenti senza sapere quello che vanno a fare.

Mettete pure in secondo luogo, se pure non sia di fatto anche il primo, il dilagare della disonestà, in tutte le sue forme: il parlare osceno; gli amoreggiamenti illeciti e scandalosi; il libertinaggio della gioventù d’ambo i sessi; la infedeltà fra i coniugi; la procacità del vestire; la incuria dei genitori nella custodia dei figli; l’abbassamento morale di certe ragazze, che vedono nella depravazione un mezzo di lucro, in vista del compenso che vien concesso alle madri per il mantenimento dei figli illegittimi; e voi vedete in quale abisso va precipitando una parte non piccola dei Nostri figliuoli.

E qui pure c’è da osservare che non pochi di questi disgraziati, specialmente del sesso femminile, pur tenendo una vita tutt’altro che corretta, non solamente si accostano ai sacramenti, ma li frequentano ancora; e ne menano vanto; quasi a significare che  nel loro operato nulla v’ha di riprovevole, e che si può senza scrupolo appagar le passioni ed essere persone divote.

Le cause di tanta rovina sono così molteplici, da non poterle con sicurezza tutte decifrare. Ne considereremo però alcune che più facilmente cadono sott’occhio, per trovarvi in quanto si può, un adeguato rimedio.

E riguardo alla gioventù, un gravissimo pericolo per la moralità sta appunto nel disagio economico che tormenta più o meno, come il mondo intero, così anche le nostre regioni. I nostri giovani non si trovano in condizione da formare una famiglia, perché manca una occupazione proficua, perché è incerto l’avvenire; non ci sono impieghi in vista: e chi vorrebbe avventurarsi a pigliar moglie, se non sa come poi mantenerla? D’altra parte, in moltissimi, manca il senso cristiano della vita, la continenza è una virtù sconosciuta, la soddisfazione degli istinti è ritenuta un bisogno; e quindi si abbandonano a degli amoreggiamenti, che non hanno di mira il matrimonio, e che degenerano in turpissime relazioni. Le ragazze, preoccupate anch’esse del loro avvenire, temendo di restare senz’appoggio e senza sistemazione, cercano più che mai, e più presto che possono, di mettersi in vista, affin di essere nella comune ridda le fortunate; e, nel timore di perdere il partito, a costo della coscienza, vogliono tenerselo caro. Le madri, di null’altro spaventate all’infuori di vedersi in casa invecchiar le figliole, senza speranza di sposare, lasciano correre, ed abbandonano le figlie in mano del primo venuto, senza custodirle, colla folle speranza che la famigliarità dei fidanzati affretti il matrimonio.

I padri di famiglia in gran parte, lasciano completamente alla moglie l’educazione famigliare, e preoccupati dagli interessi materiali, niente si curano dello spirito e di quanto ad esso appartiene.

A tutti questi tremendi incentivi alla dissolutezza, aggiungetevi il parlare libertino e scandaloso, che senza alcun ritegno si pratica in certi stabilimenti, dove i padroni ed i capi, non vedendo nei subalterni altro che delle macchine da lavoro, lasciano liberamente mescolati operai dei due sessi, né punto si curano di quello che si fa o si dice, purché il lavoro sia fatto; se pure essi stessi, offrendosi l’occasione, non siano degli altri peggiori; aggiungetevi le conversazioni immorali di certe ragazze che si trovano a lavorare insieme, senza che chi sta a capo si occupi di quanto si dice nella propria scuola o nel proprio laboratorio; aggiungetevi la sfacciataggine di certe donne da marito, che si prendono la missione, come esse dicono, di istruire le giovani del come sia fatto il mondo; aggiungetevi i racconti particolareggiati degli scandali che avvengono; ed avrete una idea della marea di fango, che sale ed invade il cuore della nostra gioventù, ed inesorabilmente la travolge.

Un rimedio efficacissimo a tanto male sarebbe, ed in molti luoghi è veramente, la frequenza dei sacramenti; ma purtroppo accade che bene spesso, appunto perché se ne abusa, anche tale rimedio diventa inefficace e dannoso. Ciò avviene la maggior parte delle volte per la malizia del penitente, che, nascondendo la verità delle circostanze, si spiega in maniera tale da carpire la assoluzione che non merita; qualche volta però, anche per la falsa bontà di qualche confessore, che per acquistarsi fama di bontà e di misericordia, o per timore di perdere la clientela, lascia correre, ed assolve sempre, quando un po’ di fermezza potrebbe salvare qualche anima. Ed è dolorosamente fra le giovani notorio, esserci qualche confessore che sembra specializzato per le fidanzate; perché esse stesse fra di loro si indirizzano a quelli, che, come esse dicono, sono meno scrupolosi. Né vale il dire che trattando con severità queste persone, si allontanano dalla pietà; perché mostrandosi arrendevoli, si ottiene il mostruoso effetto di far loro entrare l’idea che la castità non sia di precetto, e che il violarla non sia poi tanto male; il che è molto peggio di un momentaneo allontanamento dai sacramenti, che in chi ha fede, non è mai disgiunto da salutari rimorsi, e che riconduce a Dio con pentimento sincero.

Un altro fenomeno stranissimo è la rilassatezza spirituale in cui cadono le giovani spose; per cui quasi sempre abbandonano la pietà, lasciano i sacramenti, non più intervengono alle prediche ed ai catechismi; ed arrivano perfino per futili motivi a tralasciare la S. Messa anche nei dì festivi.

Non poche volte ne sono causa i mariti, che fanno della donna una schiava, privandola anche della libertà di attendere alle pratiche di religione. E sì che dovrebbero persuadersi essere appunto la pietà che rende la sposa più docile, più affezionata, più amabile e più fedele ai propri doveri. Togliete alla sposa la devozione, e voi la rendete intrattabile, impaziente, rabbiosa; cambiate la casa in un inferno: non vi regna più né la pace, né l’amorosa concordia; ma la imprecazione, la maledizione, la bestemmia. Ed ecco che lo sciagurato marito, anziché cercare le gioie del tetto domestico, sfugge la propria casa, e comincia a frequentare le osterie ed i ritrovi, che ben presto lo rovinano nella borsa e nel cuore.

Ma la ragione, troppo frequente, che allontana la sposa e la madre dalla Chiesa, è il non trovarsi più tranquilla in coscienza, per ciò che riguarda la vita coniugale, ed i pesi che necessariamente ne derivano. Si temono i figli, e si adoperano mezzi illeciti per evitarli. Né vale l’insistere che la benedizione di Dio è sopra quelle case che sono allietate da maggior corona di figlioli: né si teme quella maledizione, che certissima pende sopra quegli sposi che volontariamente e delittuosamente rendono deserte le cune. Qualche volta è il marito che brutalmente s’impone; e malgrado la sposa con preghiere e con lagrime lo inviti al retto operare, si ostina a voler delittuosamente che i figli non vengano; ed allora è lui solo che si macchia dell’orrendo delitto; ed è assolutamente indegno di ricevere i sacramenti, ed è certo della propria dannazione, se non muta sistema. Ma nella maggior parte dei casi è la sposa stessa che coopera al delitto; o perché con lamentele continue fa comprendere al marito quanto le pesi di diventar madre; o perché direttamente si presta a rendere impossibile la venuta dei figli. Succede più volte che donne di tal fatta, stanno bene in guardia per non trovare il confessore che in proposito con prudenza le interroghi, si presentino a chi, o per inesperienza, o per esagerata prudenza, neppur da lontano accenni a così gravi disordini; e fatta una confessione manifestamente sacrilega, si accostino alla Comunione anche con una certa frequenza; facendo per di più le apostole del male; perché poi insegnano ad altre spose, macchiate della stessa colpa, come debbano fare per liberarsi da quegli scrupoli, come esse li chiamano. Conoscano queste disgraziate il gran male che fanno; e si mettano bene in mente  che esse camminano per la via che certamente le conduce alla eterna rovina.

A tutti questi mali, per sé gravissimi, aggiungete la profanazione sistematica delle feste; la trascuratezza nell’ascoltare la divina parola, l’uso invalso di accontentarsi ne’ dì festivi d’ascoltare una semplice messa, ove è possibile anche senza spiegazione evangelica; e voi avete dinnanzi il male peggiore di ogni altro: la ignoranza colpevole in materia di religione, anche di quelle cose che bisogna esplicitamente conoscere per poter vivere da cristiani.

E dovremo noi, venerabili fratelli, starcene inoperosi dinnanzi a tanta rovina, cullandoci nella comoda illusione che la colpa non è nostra, e che il mondo è stato sempre così? Oppure, dimenticato il nostro principale ufficio, che è di amare le anime fino al sacrificio, fino alla morte se occorresse, accontentarci di fare in modo largo i nostri doveri, e lasciar poi libera la marea di crescere e travolgere ogni cosa? Non siamo forse tenuti, nell’ora del maggior pericolo, ad escogitare qualsiasi mezzo purché onesto, per salvare le anime alle nostre cure affidate? E non è un delitto, in frangenti così pericolosi, il trascurare quei mezzi medesimi che il Pastore supremo ci addita, ed i Vescovi inculcano, per salvaguardare la fede, e la morale cristiana? Or bene: il mezzo non solo opportuno, ma in questi tempi, come afferma il Sommo Pontefice, assolutamente necessario è l’Azione Cattolica. Ed è prima di tutto cosa urgentissima che essa Azione sia bene compresa sia dal Clero, che da tutti i fedeli nostri figliuoli. Ed abbiamo detto dal Clero, non per offender Voi, fratelli, ma per stimolare anche quelli tra i sacerdoti, che, o per la loro età, o per la natura del luogo ove esercitano il ministero, si credono dispensati dall’occuparsene.

Nella sua natura, come più volte ha detto anche il Papa, l’azione cattolica vi è stata sempre nella Chiesa, fin dai primissimi tempi apostolici; ché la partecipazione dei laici all’apostolato dei Sacerdoti e dei Vescovi è stato fin da quei tempi un bisogno. Andava l’Apostolo a seminare i primi germi della Fede in una regione dove ancora non si era stabilita la comunità Cristiana; e non appena alcuni con convinzione abbracciavano il cristianesimo, venivano subito adoperati dall’Apostolo per comunicare ad altri quanto essi avevano appreso e creduto; e questo apostolato laico preparava le nuove reclute per formare la comunità cristiana. Così si è fatto in ogni tempo; così si pratica anche adesso nei paesi degli infedeli. Perché non dobbiamo adoperare anche noi questo efficacissimo mezzo, affine di avvicinare a Dio anche quelli dei nostri figli, che o per colpa, o per pigrizia, se ne stanno lontani? E poiché questo lavoro, organizzato e regolarizzato secondo i dettami dei più pratici e dei più ferventi cattolici, dei Vescovi, e del Papa, riesce certamente più pratico e più proficuo; perché vorremmo ostinarci a crederlo inefficace ed inutile; ed a non volerlo adoperare e mettere in pratica? Gli Statuti dell’Azione Cattolica infatti che cosa altro sono, se non questa organizzazione dell’apostolato dei laici, che sempre fu e sempre sarà nella Chiesa?

Dalle cose sopra dette risulta chiaro che tutte le classi sociali sono oggi più che mai minacciate nella fede e nel buon costume; ed ecco perché l’Azione Cattolica nei diversi suoi rami tende a venire in aiuto di tutte le classi e di tutti gli individui. La maggiormente insidiata è la gioventù; ed ecco che l’azione cattolica ha le due unioni della gioventù maschile e della gioventù femminile. Sostegno alla fede ed al buon costume è la famiglia; ed eccovi le due unioni degli uomini cattolici e delle donne cattoliche.

E perché queste unioni dei laici, non abbiano col tempo a degenerare in ostacoli, anziché in aiuti al ministero sacerdotale, come pur troppo è avvenuto in parecchi luoghi per le antiche confraternite, fu stabilito che l’Azione Cattolica è alla completa dipendenza dei Vescovi, e del Papa: sono essi che ne scelgono i dirigenti, che ne regolano gli atti, che ne approvano gli statuti. Anzi sono essi che nominano gli Assistenti Ecclesiastici, che continuamente devono aiutare e controllare l’operato dell’azione stessa, in modo tale che il S. Padre ha affermato che l’Azione Cattolica sarà tale quale la forma l’Assistente Ecclesiastico.

E’ chiaro pertanto che la medesima Azione deve essere iniziata e promossa dal Sacerdote, il quale nell’ambito a lui assegnato dal Vescovo deve col suo zelo illuminato e sollecito preparare gli elementi che formeranno il primo nucleo, da cui come da fonte scaturirà dapprima un piccolo gruppo, che sviluppandosi darà vita alla associazione.

Ed incominciamo pure dalla gioventù. Vi sarà in tutta la Diocesi una parrocchia tanto disgraziata, che non abbia almeno tre giovani, e tre ragazze che frequentino i sacramenti, vengono puntualmente alla Chiesa, e vivano discretamente da buoni cristiani? Se qualche parroco o curato osasse dirci di no, Noi arrossiremmo per lui, e gli diremmo: che cosa hai fatto in tanti anni di ministero, se non sei riuscito a formare tre Cristiani per ogni sesso? Tu sei quel servo infingardo che ha sepolto il talento; e ti sei dimenticato del negotiamini dum venio1 (negoziate fintanto che io torni) che è il comando del Padrone agli agricoltori a cui ha affidata la vigna. Ma siamo certissimi che questo non avverrà in alcun luogo. Or bene: la scintilla c’è; tocca a voi, o Sacerdoti, accendere la fiamma. Avvicinate con zelo, e con amore apostolico quelle tre anime, parlate loro dell’immenso bisogno di salvare gli altri giovani, o le altre giovinette dai pericoli, e dalle rovine; eccitateli ad interessarsene, a farsi delle sante amicizie, a portarli alla chiesa, ai sacramenti, a venire alle adunanze; non dimenticatevi di raccomandare loro il buon esempio, la pazienza, la perseveranza; argue, obsecra, increpa in omni patientia2 (confuta, rimprovera, esorta in tutta pazienza): date anche voi soprattutto il buon esempio nella preghiera, nel raccoglimento, nella pietà sentita, nella santità del parlare e dell’operare; e vedrete che la semente produrrà il buon frutto, e sorgeranno le associazioni cattoliche, e fioriranno ben presto. Adoperate gli stessi mezzi cogli adulti, ed in breve tempo vi accorgerete del frutto spirituale dal mutamento di vita che si andrà operando negli individui, nelle famiglie, nella parrocchia intera.

O ammirabile frutto dell’azione cattolica! Quel gruppo di uomini intanto non bestemmia più; non perde più la Messa; si interessa perché viva cristianamente la propria famiglia. Quel gruppo di donne comincia subito ad esercitare nelle case la propria influenza; custodisce meglio i figliuoli; non abbandona più le figliuole al proprio capriccio, non le lascia più frequentare i balli, o darsi a pericolosi ed illeciti amori. Quei ragazzetti diventano i più assidui alla chiesa, alle sacre funzioni; quelle giovanette cominciano già a frequentare i sacramenti, ed a tenere un portamento più serio, ed un parlare più corretto. E’ un rigagnolo che crescendo diventa un fiume; è il granello di senape che si sviluppa e diventa poi un albero. I membri dell’azione cattolica in breve diventano assidui alle spiegazioni evangeliche, ai catechismi, alle prediche; e la chiesa, che prima era un deserto, si trasforma in un giardino. Exempla trahunt (gli esempi trascinano); e dietro a quei primi, altri vengono e si associano; ciò che prima pareva una impossibilità diventa un bisogno; ciò che era argomento di rispetto umano diventa una ambizione, un onore. Ed il regno di Dio si estende, e la ardua missione sacerdotale si facilita; il buon prete ne gode, e trova nel ministero non sognati conforti. Colla vita cristiana, importata e diffusa dall’azione cattolica, a poco a poco si tolgono anche le cattive usanze, si smettono gli abusi; e ciò che pareva impossibile estirpare, lentamente si modifica e scompare.

Venerabili confratelli, prendetela a cuore questa santa opera della azione cattolica, formatene l’oggetto primo del vostro santo zelo. Essa vi aiuta ancora a conservare in voi, e ad accrescere lo spirito sacerdotale. Quando in parrocchia langue la fede, la chiesa è deserta, solitario il confessionale, abbandonato l’altare al povero sacerdote prende uno scoraggiamento, una noia del ministero che avvilisce ed accascia, e finisce quasi sempre con quella apatia e noncuranza che fa del ministero un mestiere, e di chi lo esercita un mercenario, di null’altro sollecito che di ingannare il tempo, e di aspettare la sera. Studiare: ma per chi, se nessun si cura di ascoltare il prete, e gli sta lontano? Tenere in ordine la chiesa, e procurare di adornarla? Ma a che prò, se essa è sempre vuota ed all’infuori della festa, nessun mai vi mette piede? Zelare l’onore e l’amor di Dio, nella conversazioni, nelle visite alle famiglie? Ma come fare, se nessuno ti intende, se nessuno ti abbada; se all’infuori di interessi, di campi, di danaro, nessuno sa dirti, sa risponderti una parola? Povero prete, io lo compatisco: ed allora è ben naturale che anch’egli per fuggire la solitudine, per divagarsi alquanto, o si dia al gioco, od alle conversazioni mondane; cerchi negli affetti sensibili quel conforto che non trova nei sacri ministeri; ed ordinariamente finisca col diventare oggetto di orrore a se stesso e di scandalo agli altri.

Miei Venerandi Sacerdoti! Perché non vi incolga tanta sciagura; perché non abbiate a piangere nel tempo, ed anche nella eternità, accingetevi a questa santa impresa nella Azione Cattolica; è il Papa, è il Vescovo che ve la addita, ve la propone, ve la comanda. Non vi stanchino le difficoltà; non smettete il lavoro ai primi ostacoli, alle prime disdette. Gli insuccessi di oggi, saranno per voi un merito davanti a Dio: ripetendo gli sforzi, la benedizione di Dio preparata per i perseveranti, renderà fruttuoso il terreno anche più sterile; che a chi fa per parte sua quanto può, Dio non nega mai il suo aiuto.

E’ Nostro vivissimo desiderio, anzi è volontà Nostra, che in tutte le parrocchie della Diocesi, si incominci subito questo lavoro di azione cattolica, dove non è stato ancora iniziato; che lo si risvegli e si rianimi, dove le amare prove dell’anno decorso l’avessero attutito; che lo si estenda e rinvigorisca in quelle dove esso già funziona. Nella prima quindicina del prossimo Maggio, faremo un congresso di tutti i dirigenti diocesani e parrocchiali di tutta la Diocesi; e vogliamo sperare che tutte le parrocchie vi saranno rappresentate. Il giorno e le modalità verranno fissate nella prossima adunanza del Clero Diocesano per il Ritiro Spirituale, che sarà tenuta nel Nostro Seminario Diocesano, subito dopo l’ottava di Pasqua.

 

Ed ora, venerabili fratelli, un altro argomento, che si ricollega al primo, imprendiamo a trattare; argomento quanto altro mai interessante, e che deve assolutamente stare a cuore a tutti i Sacerdoti non solo, ma a quanti hanno affetto per la religione e per la causa della Cattolica fede: l’argomento del Seminario.

Il problema delle vocazioni assolutamente si impone; si tratta della vita spirituale della Diocesi. Con cinquantasei parrocchie vacanti, abbiamo un terzo della Diocesi che è senza prete, e senza speranza di averne presto qualcheduno. Specialmente la montagna, si trova a disagio e la sua sorte non è affatto differente da quella dei paesi degli infedeli. Continuando ancora un poco, vi sarà un numero considerevole di Cristiani, che non conosceranno più neppure le cose più elementari della nostra Fede; non riceveranno più i Sacramenti, e moriranno senza prete.

Qui evidentemente si tratta del bene supremo della Religione; e quindi esso va sopra a qualunque altro bisogno; e per mettervi rimedio, bisogna, se occorre, cavarci il pane di bocca e patire anche la fame. Sì, miei cari Sacerdoti e amatissimi figli miei, bisogna provvedere, e subito, a favorire in tutti i modi le vocazioni ecclesiastiche, non trascurandone alcuna; cercare ogni mezzo per suscitarle, dove se ne mostra anche una qualche lieve speranza. Oggi, grazie a Dio, il Seminario è bene diretto e bene amministrato; ed il numero dei Chierici che vi si educano, dà le più liete speranze di buona riuscita. Ma il numero di essi è ancora insufficiente al bisogno; ed è necessario il reclutarne anche nei paesi di montagna, perché un giorno sia più facile il provvedere quei luoghi alpestri che abbisognano di sacerdoti robusti ed addestrati alla difficoltà dei luoghi. Ed è parimente necessario provvedere finanziariamente alle strettezze finanziarie in cui versa questo massimo Istituto Diocesano. Esso, come  altra volta vi diceva, non ha rendite fisse che possano almeno in parte supplire al suo funzionamento; le cinquemila lire che fruttano i suoi titoli, non bastano nemmeno al mantenimento delle persone di servizio. Il maggior emolumento viene dalle applicazioni delle Messe festive; ma per somma disgrazia anche dalle elemosine per dette Messe facciamo difetto. Ed allora, che altro resta, se non estendere e intensificare l’opera per i seminaristi poveri, tanto caldeggiata anche nelle Nostre ultime lettere e disgraziatamente in varie parrocchie o trascurata, o del tutto dimenticata? Ciascun parroco deve sentirne tutta la necessità e mettervi tutto il suo zelo perché abbia a fare buona riuscita. La Giornata pro Seminario deve essere caldeggiata in modo del tutto speciale: ogni buon sacerdote deve prenderla a cuore, e farla conoscere ed apprezzare. Tutti i rami delle Azione Cattolica devono cooperarvi, sia nel celebrarla con tutta solennità, sia nel raccogliere elemosine ed offerte per il Seminario. Non si deve assolutamente ammettere scusa alcuna per escludere dalla giornata qualsivoglia parrocchia, anche di quelle che sono in economia. Proibiamo poi assolutamente che il parroco od il curato, dando qualche cosa del suo, trascuri di fare tale giornata, e di raccogliere tale elemosina. Loderemo poi in modo particolare e terremo nel debito conto quei Sacerdoti che si presteranno perché siano raccolte offerte anche fuori di chiesa per questo santissimo scopo. Fratelli! Il bisogno è urgentissimo, i pericoli grandi: pensate che in qualche luogo di montagna, approfittando della mancanza del prete, i protestanti hanno tentato di invadere il campo e rubare le anime alla Religione ed alla Chiesa! Suvvia adunque, all’opera, venerabili fratelli, e dilettissimi figli: trattasi del bene supremo, conservare la fede, salvare le anime.

 

Aspettiamo poi tutto il Clero per la giornata di ritiro che faremo il giorno sette del prossimo Aprile. Fate in maniera che nessuno manchi; provvedete in qualche modo ai bisogni della parrocchia nelle prime ore del giorno; e per le ore nove e mezza, procurate di trovarvi in Seminario. I più lontani vengano la sera avanti; ma non manchino: è troppo importante e necessario il trovarci insieme. In quella circostanza parleremo di altre cose importantissime.

Intanto, a Voi Venerabili fratelli, ed a tutti i dilettissimi figli impartiamo di cuore la Pastorale Benedizione.

 

Dalla Nostra Residenza il 6 marzo 1932

                                                                                               X CARLO Vescovo

1   Luca 19, 13

2   Paulus, 2 Tim. 4, 2

 

 

Salva Segnala Stampa Esci Home