Al mio dilettissimo popolo

 salute e benedizione

 

 

Beatus homo qui corripitur a Deo; increpatione, ergo Domini ne reprobes   (Iob 5 17)

(Beato l’uomo che è corretto da Dio; dunque non sdegnare il castigo di Dio)

 

S

empre caro al mio cuore è intrattenermi con voi, o figli dilettissimi e rivolgervi, e rivolgervi la mia povera parola, che è l’espressione più viva dell’amore che a voi mi lega, e del desiderio che mi agita di farvi un po’ di bene. All’avvicinarsi poi della santa Quaresima nelle presenti circostanze ne sento anche più vivo il bisogno; e bramerei trovarmi in tutti i punti della diocesi per parlarvi di persona a faccia a faccia: per leggere sui vostri visi l’angustia e la pena che vi affanna, per mescolare con voi le mie lagrime, e per trovare le mie parole più opportune a ravvivare la vostra fiducia. Ma se ciò non mi è dato, mi sia almeno concesso di pregarvi ad ascoltare questa mia lettera con quella attenzione con cui ascoltereste la lettura d’uno scritto indirizzatovi dal padre vostro o dal vostro più fedele amico che si trova da voi lontano.

La pena che maggiormente vi opprime, che vale il nasconderlo? È la lontananza dai vostri cari, ed il pericolo continuo a cui si trovano esposti. La oramai lunga prova che ha seminato le nostre care contrade di lutti, di privazioni, di affanni ha messo la vostra pazienza ad un cimento ben duro: e so di molti che hanno sentito venir meno il coraggio, e dubitando della divina Provvidenza, hanno lasciato che la propria anima si abbandoni al più desolante sconforto. Altri per giunta, lasciandosi ingannare dai falsi amici del popolo, che quasi lupi feroci o tigri affamate hanno cercato di approfittare del doloroso momento per avvantaggiarsi nel loro pessimo intento di distruzione morale, hanno bestemmiato Dio e la religione, e nel truce sogno di vendette e di sangue hanno imprecato a tutto, ed a tutti coloro che credono causa delle tristi condizioni attuali. Non mancano poi di quelli che fingendo di non accorgersi delle amarezze da cui sono stretti, hanno lasciato libero il corso alle proprie disordinate passioni; e sorpassando ogni dovere di coscienza ed ogni legge di religione, si sono dati alle più aperte dissolutezze.

Ed io a tutti rivolgendo il pensiero e l’affetto, vi invito o carissimi, a rientrare per poco in voi stessi, e a riflettere a quelle verità che sole vi possono esser guida e conforto nel cimento a cui siete esposti. E prima di tutto conviene che ciascun di voi si convinca che la prova attuale e la tristezza che ci affligge è un castigo di Dio, che ci siamo troppo bene meritato. Non è che Iddio abbia voluto la guerra, e tutti gli inevitabili mali che la conseguono: poiché è di fede che Iddio non vuole la distruzione e la morte: “Deus mortem non fecit” 4 (Dio non ha fatto la morte) e neppure odia le creature che sono opera della sua mano “Nihil odisti eorum que fecisti” (Nulla di ciò che hai creato hai in odio). Disgraziatamente sono stati gli uomini che hanno preparata la strada alla grande prova; e non alcuni soltanto, ma tutti indistintamente. E’ la società umana che è uscita dal retto sentiero; è la società umana che ha dimenticato le vie della verità e della giustizia; e col dividersi dalle sante leggi di Dio, e coll’allontanarsi da quei principii della legge naturale che l’Onnipotente ha posto nel cuore dell’uomo, ha preparato quello squilibrio sociale che ha rotto gli argini entro cui correva l’umano consorzio, ed ha fatto irrompere la fiumana che oggi allaga la terra universa.

Il primo fondamento dell’ordine cioè la fede in un Dio che regola il mondo è stato dovunque o scosso o divelto: l’uomo ha preteso di essere l’unico assoluto padrone della terra e di tutta quella parte dell’universo a cui può giungere colle sue forze, e fuori di sé non ha riscontrato altro che la cieca materia, e le inconscie ed ineluttabili forze della natura. Tronfio delle sue scoperte, l’uomo, questo superbo pigmeo, con orgogliosa compiacenza, ha scovato le forze segrete della natura, e se ne è impadronito: le ha poste sotto il suo dominio, ed attaccandole al proprio carro del trionfo, quale imprudente ragazzo, è salito, e prendendone in mano le redini si è messo a correre, senza l’auriga che poteva regolarne l’impeto. E nella corsa sfrenata intonando il peana del trionfo, si voltò indietro a deridere e a sprezzare l’Onnipotente, che secondo lui era rimasto a terra per sempre. Ma ora troppo tardi s’accorge che i focosi destrieri delle forze della Natura gli han tolto la mano, e ch’egli impotente a domarli vien da essi trascinato a inevitabil rovina. Pretese l’uomo di andar libero per gli spazi: per la terra, pel mare; pretese di impadronirsi dei suoi misteri reconditi del sotto suolo, e degli elementi che vi si celano; traforò le montagne, rubò i fulmini al cielo, e disse: Dio non vi è: io sono la forza, il destino, la legge: mi reggo da me, e l’universo è in mia mano. Ma come l’antico Lucifero proclamandosi padrone, si preparò la rovina e la morte: così questo nuovo ribelle, l’uomo, rivolse ogni sua scoperta a propria distruzione. E la morte piovve dal cielo conquistato coi bombardamenti aerei; e la morte serpeggiò sotto l’onde marine coi sottomarini e coi siluri; e la morte e la distruzione invase la terra coi cannoni, colle mitragliatrici, colle bombe, coi gas mortiferi, e con tutte le macchine di distruzione intorno a cui lavorano milioni di figli di Adamo, per uccidere altri milioni dei loro simili. Ne datevi a credere che questo sia il delitto di un popolo piuttosto che di un altro: è diventata una fatalità, una necessità ineluttabile: nel supremo cimento, nell’ora tremenda che passa, anche chi non volesse, lo deve fare per non rimanerne schiacciato. E così anche l’uomo oggi, come Satana altra volta, da se medesimo punisce il suo orgoglio.

Ma, sento obiettarmi da molti, e che fa Iddio che non viene in soccorso dell’uomo, sia pure colpevole, ma che imprudente abbisogna d’aiuto per non precipitare in rovina? E noi, noi poveri figli del popolo, che cosa abbiam fatto per esser travolti assieme coi superbi che si ribellarono a Dio?

Figli carissimi, lasciate che ve lo dica: abbiamo peccato anche noi, e troppo abbiamo peccato: e quello che è peggio, pecchiamo ancora. Abbiamo peccato tutti, senza distinzione di nazione, quanti siamo Cristiani: perché la società l’abbiamo preparata noi, noi l’abbiamo formata; ed è inutile illudersi: essa non può essere differente da quello che sono i membri che la compongono. Le leggi sante del Cristianesimo le abbiamo calpestate tutte, o almeno in gran parte, e come individui, e come famiglie, e come comunità, abbiamo concorso alla finale catastrofe. In alcuni fu malizia, in altri condiscendenza, in tutti fu colpa.

Quando, or sono poco meno che quattro secoli, il tedesco ed apostata Martin Lutero pubblicava le sue novanta proposizioni preludenti alla completa emancipazione del pensiero umano da ogni legame col sovrannaturale, l’Europa abboccò all’amo che dovea trascinarla in un laccio inestricabile. I superbi, i libertini, gli ingordi agognatori alla ricchezza, plaudirono: il popolo incosciente e corrotto si lasciò ingannare: si ineggiò pazzamente alla liberazione della coscienza umana dai vincoli della Rivelazione e della Chiesa. Incominciò l’uomo a parlare di norme della scienza e a contraddire alla fede: le dottrine le più strampolate ed assurde furono accolte come voli sublimi dell’umano ingegno, e si buttò il ridicolo su tutte le verità della fede, con la scuola degli Enciclopedisti che pretesero seppellire col disprezzo il tesoro raccolto da sedici secoli di Cristianesimo. Vi si aggiunse poi la proclamazione dei diritti dell’uomo, e si contrapposero ai diritti di Dio: anzi si negò Iddio colle nebulose elucubrazioni di quegli sciagurati filosofi del settentrione, che sono diventati il secondo vangelo per tutto il mondo civile. La rivoluzione Francese che fu l’epilogo della prima parte di questa immensa apostasia da Dio, colle sue stragi, colle sue violenze, coi suoi soprusi fu detta, e la si dice ancora, il primo passo gigante dell’umanità verso i suoi veri destini: si inculcò che l’autorità viene dai popoli, indipendentemente da Dio: che la morale non abbisogna di credenze religiose, ma si regge da sé; che l’uomo pienamente evoluto ha la sola religione del dovere. Libertà, fraternità, eguaglianza furono le grandi parole che servirono di insegna e di passaporto ad ogni più sfrenata licenza: ed in nome di esse i più sacri e santi doveri si calpestarono: si cambiò la scuola in una fucina di incredulità e di sensualismo: si assalì il santuario della famiglia sconsacrandone il carattere ed infrangendone l’indissolubile legame: si tollerò una stampa esiziale ad ogni retto ed onesto principio; si permisero le associazioni anche più sovversive, in omaggio alla libertà di pensiero e di parola ... Insomma si seminò vento ed ora si raccoglie tempesta.

Invano la Chiesa alzò il grido di allarme: la si chiamò nemica del progresso e fonte di oscurantismo; e per tema che potesse intralciare il passo al desiderato avanzare delle nuove idee, la si circondò di ostilità, la si spogliò di ogni mezzo, la si volle lontana dalla società civile. Il ceto più nobile e la borghesia diedero il primo esempio di apostasia della Chiesa: non più religione, non più fede, non più pratiche cristiane; anzi un rifiorire di paganesimo nel costume, nel vestire, negli ideali. A quelle tenne dietro ben presto il ceto operaio, che aspirando ad una vita più comoda e più libera, coi principi del socialismo ripeté la frase del primo ceto: non più Dio!, ma vi aggiunse la seconda parte che logicamente ne deriva: non più padrone! Restava ancora fedele alle antiche massime, che governavano il mondo da secoli, il ceto dei lavoratori dei campi. Ma sedotto anche questo dal miraggio di migliori fortune, diede ascolto alle ingannevoli sirene del ceto artigiano, e abbandonato il vivere cristiano si diede alla dissolutezza nel costume, alla ribellione nei principi, all’indifferentismo nella religione.

E così peccammo tutti, e tutti ci siamo resi responsabili delle catastrofi che logicamente ed ineluttabilmente derivano da questo totale abbandono di Dio e della sua fede. Ed ora siamo tutti travolti dalla tempesta che tutti abbiamo fatto scatenare; e corriamo tutti ineluttabilmente alla stessa rovina che ci siamo aperta sotto i piedi. La guerra attuale non è che il secondo e necessario epilogo di questa corsa sfrenata verso la morte a cui si è abbandonata la società cristiana: ma penso che non sia ancora la fine. Eppure lo credereste? L’uomo non si ravvede ancora. Abbiamo peccato tutti, vi dissi, ma pur troppo non si cessa peranco di peccare. E il primo dei peccati che predomina nel mondo cristiano è l’indifferenza religiosa. Indifferenza individuale, per cui chi più chi meno si disinteressa delle cose dell’anima. La religione non preoccupa quasi nessuno: sono pochissimi quelli che si interessano di ben studiarla, di ben comprenderla, di calcolarla quale essa è, cioè per il più importante e vitale dei nostri interessi. Mentre si si affatica per ben imparare l’arte o il mestiere che deve darci il mezzo di campare la vita del corpo; mentre si veglia e si consumano le energie dello spirito per conservare ed accrescere i beni di fortuna; mentre perfino si si impone la ammirabile pazienza di leggere quotidianamente le notizie assai spesso bugiarde di uno o più giornali per conoscere le cose del mondo, non si ha nessuna cura di imparare le verità eterne, di meditare le massime del Vangelo, di apprendere il catechismo, non si si interessa delle prediche, non si ascolta volentieri la parola di Dio. Si bevono, e forse si gustano, i grossolani errori che in mille modi vengono diffusi contro l’esistenza di Dio, la sua provvidenza, l’immortalità dell’anima, la divinità di Cristo e della Chiesa, e si finisce col diventare scettici, o al più al più conservare una certa forma di religione tradizionale, che si compendia nel balordo effato: “io seguo la religione dei miei padri”, e che in fondo significa, seguo una religione di cui non sono convinto.

Questa differenza individuale che ha pervaso tutte le classi ha generato la indifferenza sociale. I padri di famiglia, anche se apparentemente religiosi, non si preoccupano punto della educazione cristiana dei propri figliuoli; e tutto al più ne abbandonano l’impresa alla moglie, od alla servitù. Non sentono il dovere di procurare che i propri figli crescano immuni dall’odio al Cristianesimo che pur troppo si diffonde da tante cattedre, e si inocula da tanti maestri. Al governo delle Nazioni, alla direzione delle Provincie, alla amministrazione dei Comuni si lasciano salire dichiarati nemici di Dio e della Chiesa: e ciò per quella apatia così comune che guarda solo al materiale interesse, alle passioni di parte, ai favoritismi di classe e di individui, senza preoccuparsi del bene comune. Chi mai ha preso seriamente a pensare all’atto che compie quando va a dare il voto nelle elezioni dei pubblici amministratori, e dei rappresentanti delle nazioni? E così vengono le leggi anticristiane, e così la setta si infiltra in tutti i pubblici istituti; e così Dio è bandito dai parlamenti, dalle cattedre, dai municipi, dalla scuola, dalla beneficenza; così si fanno o si preparano le più accanite persecuzioni contro il principio Cristiano, così è minata la santità della famiglia, è oppressa la libertà del culto, sono perseguitati i ministri della Chiesa, così si fa strada al Socialismo, alla rivoluzione, all’anarchia! Così vediamo lo scandalo pubblico delle feste profanate, dei templi deserti, dei teatri immorali affollatissimi, dei pubblici spettacoli diventati in gran parte eccitamenti al mal fare. Così il livello morale è disceso assai basso, la licenza trionfa, la disonestà dilaga. Così la pudicizia è posta in ridicolo; la gioventù ancor tenera impara ogni dissolutezza, i ragazzi credono di esser diventati uomini perché a quindici o sedici anni hanno già prevaricato, ed hanno imparato ad insidiare la virtù altrui. Lo stesso matrimonio Cristiano è un sacramento tante volte profanato, od è il miserabile riparo di dissolutezze prolungate che più non si possono nascondere. Così il linguaggio comune è impastato di bestemmie orrende, e di trivialità oscene; così ... ma basta, basta ... figli carissimi abbassiamo la fronte, e copriamoci di vergogna! Dobbiamo proprio ripetere colla Chiesa “peccavi nimis ... multum quidem peccavimus”5 (ho peccato troppo ... molto certamente abbiamo peccato).

Ma non è il caso o miei figli di perdersi di coraggio, né di credere che la sorte del popolo Cristiano sia disperata. Dio ha permesso che l’uomo nella corsa sfrenata dietro la sua superbia, si scavasse sotto i piedi il precipizio; ma Dio è sempre Padre, e quindi è pronto a stendere la sua mano e salvarci. Qualcuno mi chiede: perché dunque non lo ha fatto fin qui? Perché non ascolta tanti gemiti, tante preghiere, tanti voti? Oh non è così difficile la risposta, o miei carissimi. Ha aspettato l’Eterno più di quaranta secoli a mandare il suo Redentore, perché la rea progenie del primo Adamo avesse a conoscere l’abisso in cui era caduta, e l’impossibilità di rialzarsi da sé; aspetta oggi lungamente a metter termine alla tremenda prova, perché gli uomini comprendano almeno nella massima parte, che senza Dio la società umana non può essere che una accozzaglia di barbari. Se vogliamo adunque affrettare il desiato istante in cui nel trionfo della giustizia risuoni la agognata parola della pace, è necessario un sincero ritorno alla casa del Padre celeste, un ravvedimento generale, per cui individui, famiglie, città e nazioni si prostrino umiliati dinnanzi al Signore, e ripetano la grande parola: O Dio, tu sei il nostro Signore! Fu ripetuta anche troppo dai figli degeneri del nostro tempo l’antica bestemmia del popolo giudaico: “Nolumus hunc regnare super nos!” (non vogliamo che questi regni su di noi) Bisogna ricredersi, bisogna dire col cuore: “Christus vincit, Christus regnat Christus imperat” (Cristo vince, Cristo regna, Cristo impera)

E qui scendiamo un po’ al particolare. Figli carissimi alle mie cure affidati, volete proprio sul serio che finisca la prova, che cessi la guerra, che la nostra patria sia salva, che ritornino presto i vostri cari al tetto paterno? Convertitevi, convertitevi! Invece di darvi a credere, come pur troppo è avvenuto in certe borgate di campagna che siano i preti che han voluto la guerra, perché sono d’accordo coi Signori, come cercano di farvi credere gli eterni vostri dissanguatori e raggiratori, e quindi invece di odiare i preti, e di imprecare inutilmente contro questo o quell’ordine di cittadini: ascoltate la voce del primo dei Preti, il Sommo Pontefice. Egli, sfidando l’odio della setta che in tutte le maniere ha cercato di svillaneggiarlo e di insultarlo ci invita alla preghiera alla penitenza alla pratica della vita cristiana. Ascoltate la voce del vostro Vescovo, il quale vi ripete una sola parola: Torniamo a Dio! Sì. Torniamo a Dio tutti, senza distinzione di sesso, di civiltà, di educazione, di officio, che tutti ne abbiamo grande bisogno. Torniamo a Dio, dico a voi o famiglie di condizione agiata e signorile: bando all’indifferenza, al lusso, alla cupidigia di ricchezze: si vincano i rispetti umani, si buttino i pregiudizi; dichiaratevi col fatto che siete sinceri Cristiani. La pratica della vita Cattolica ritorni nelle vostre case, nelle vostre letture, nei vostri ritrovi, nei vostri svaghi, nelle vostre opere tutte. Non vi vergognate di professare in pubblico la vostra fede; non scendete più a deboli condiscendenze colla incredulità e colla setta. Mostratevi di carattere: portatevi scolpito in fronte il motto degli antichi nobili Romani convertiti a Cristo: “Io sono Cristiano!” Ritornate alle Chiese; decorate della vostra presenza le funzioni del culto, venite alle prediche, date buon esempio. Voi potete ancora essere maestri e guida del popolo; e sarete seguiti.

Torniamo a Dio! A voi, o famiglie del ceto medio: negozianti, impiegati, professionisti, artigiani, lavoratori dell’officina. Abbandonate la setta ed il settarismo; lasciate i vieti pregiudizi che vi hanno separato dalla religione; trovate un po’ di tempo da pensare anche all’anima, a Dio, all’eternità. Non vi lasciate divorare dalla sete di guadagno, dal desiderio sfrenato di arricchire e di salire nei gradini più alti delle classi sociali! Disertate le bandiere della turbolenza, del socialismo, dell’anarchia: ritornate alle caste gioie della vita domestica e della morale cristiana. Ritorni Cristo nei vostri cuori, nei vostri affetti, nelle vostre case!

Torniamo a Dio! Anche a voi o lavoratori dei campi, e popoli del contado. Pur troppo l’esempio nefasto delle classi più alte vi ha ingannato. La sete del guadagno, la speranza di arricchire, la voglia sfrenata di godere la vita, vi ha strappato alla sincerità di quella fede religiosa che ha fatto contenti i vostri padri. Attenti alle conseguenze però: e sappiate che per quella via correte a irreparabile rovina. Volete giorni più lieti? Ebbene smettete il linguaggio ributtante della bestemmia che tanto vi disonora ed avvilisce; lasciate le brutture della disonestà che guastano i cuori; educatevi nelle verità religiose che purtroppo avete tanto trascurato; santificate le feste, ed ascoltate la divina parola. Siano casti i vostri discorsi, onesti i vostri amori, santi i vostri matrimoni.

E tutti tutti, o figli miei, affrettatevi a Gesù Cristo! Frequentate la confessione, e mondatevi dalla colpa; accostatevi spesso alla S. Comunione, e rivestitevi di grazia; e poi alzando al cielo le mani purificate dalla penitenza, colle lagrime della compunzione sincera dite al Signore: Giusto Tu, sei o gran Dio, e retto è il tuo giudizio! Noi beati se sopporteremo con pace la tribolazione, perché quando saremo provati, riceveremo la corona della vita, che Tu hai promesso a coloro che ti amano!

 

Dalla Nostra Residenza il 14 Febbraio 1917

 

X CARLO Vescovo

 

 

1 Joël 2, 17

  Inter vestibulum et altare plorabunt sacerdotes, ministri domini et dicent: Parce, Domine, parce populo tuo: et ne des hereditatem tuam in approbium (... e non esporre la sua eredità al ludibrio)

2  Antifona maggiore precedente il Natale

3   Joël 2, 13.

4  Sapienza, 1, 13

5  Hymnus “Audi, benigne Conditor” Breviarum romanum)

 

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