Mercoledì delle Ceneri del 1922

 

 

 

 

Al Ven. Clero  e diletto popolo della Città e Diocesi

 salute e benedizione dal Signore.

 

 

 

C

oll’appressarsi della santa Quaresima, mentre Ci accingiamo a compiere il sacro debito di rivolgervi in nome di Dio la parola evangelica, Ci sentiamo agitati da un forte movimento d’animo: di dolore profondo. Sì, o carissimi, Ci vengono proprio a proposito sulle labbra le parole di S. Paolo ai  Romani (cap. 9): “Vi dico la verità, in Cristo, non mentisco; me ne fa testimonio la mia coscienza ... io sono in grande tristezza, ed ho continuamente un gran dolore al cuore” nel vedere le miserabili condizioni morali in cui versa una grandissima parte della Nostra Città e della Diocesi. Quanto alla città, ne siamo testimoni oculari, l’indifferenza religiosa è salita tanto, da chiedersi se non si debba piuttosto chiamare apostasia dalla Fede Cristiana, nelle Chiese, fatta qualche rara eccezione, vi è il deserto; alla parola di Dio pochissimi vengono a dare ascolto; profanate le feste, trascurati i Sacramenti, abbandonati i Catechismi. Nella vita familiare moltiplicati gli scandali: amori immorali, unioni illegittime, separazioni deplorevoli, relazioni adultere, sono cose se non quotidiane, certo frequentissime, e, con gravissimo danno della gioventù anche troppo palesi. Nella vita sociale un amalgama indecifrabile di persone e di cose, cui stringe insieme, unica regola di coesione, l’interesse ed il piacere, senza il più lontano riguardo ai principi di vita cristiana. Balli e veglioni, spettacoli e convegni, circoli e cene, affratellano credenti e settari in una atmosfera satura di sensualismo più o meno velato da una nebbia di civiltà e di complimenti, dove le virtù cristiane rimangono intieramente soffocate, e lo stesso concetto di vita onesta travisato. Che se qualche anima generosa tenta sollevare la testa da questo strato soporifero ed inquinato, cento voci la seppelliscono, urlando all’esagerazione, allo scrupolo, al bigottismo.

Lasciar passare, ed adattarsi all’ambiente è la gran regola dei prudenti dell’ora; che unico bene sognato anche dai galantuomini ai giorni che corrono, è goder la quiete, e non crearsi disturbi. Intanto le vittime dell’incredulità e del malcostume si vanno moltiplicando massimamente fra i giovani; ché del ceto civile ed educato, a stento se ne trova qualcuno il quale creda in Dio, e non si vergogni della Legge Morale lasciataci da G.C., mentre la gioventù della bottega e dell’officina, staccata dalla Religione, viene astutamente irretita in circoli ed associazioni che a poco a poco la asserviscono alle sette più temute, ed ai partiti più sovversivi. La donna stessa, che per natura e per educazione sembra più riparata dall’assalto, ha infranto i ripari che potevan salvaguardarla; e senza parlare di quelle che senza pudore ostentano i segni del proprio abbrutimento, e ve ne son più di una; si vedono girare per le vie della città frotte di ragazze dai quindici anni in su, in vesti non sempre decenti, pavoneggiandosi, civettando, di giorno e di sera, abbandonate a se stesse: e sono quelle che affollano i ritrovi, i cinematografi, i festini; passano le notti ai veglioni; ridono sempre e con tutti, anche nei sacri templi, se mai vi si trovano; non riflettono più, non hanno più una direttiva dei propri atti, vivono nel piacere, e si credono fatte per quello.

L’istituto divino del Matrimonio è tenuto come cosa di pochissimo conto; e quindi la formazione delle famiglie senza alcuna disposizione alla santità del Sacramento chiamato grande dall’autorità dell’apostolo; amori prolungati, e frequentissimamente immorali, di cui unica regola il capriccio e la passione; esito presso che unico, una celebrazione di matrimonio imposta dalla necessità di impedire uno scandalo, dove l’atto religioso unico vero matrimonio per i Cristiani, vien fatto quasi cosa clandestina, e il più delle volte imposta per forza dalla volontà dei parenti, che conservano ancora un avanzo tradizionale della fede avita.

Né c’è gran che da confortarsi, guardando alle condizioni della campagna che, ahi, troppo ricopia i disordini della città! I figli del campo, non meno che quelli dell’officina, hanno abbandonato Iddio fonte di acqua viva, per ingolfarsi nelle cisterne delle fazioni politiche; e guidati dall’unico miraggio di materiali miglioramenti, cedono con facilità la coscienza a chi sa con più avveduta furberia far migliori promesse, e come ieri, ad evidente dispetto della Religione, s’arrampicavano sulle chiese per inalberarvi la bandiera rossa, e cantavano in faccia ai preti inni rivoluzionari; così oggi, piegando la facile schiena alle busse ed alle minacce della borghesia patriottarda ed anticlericale, si cammuffano da patrioti, e quasi ne fosse una conseguenza legittima, abbandonano la pratica cristiana per darsi ai sollazzi ed alla facile vita di libertinaggio. La voce del Ministro di Dio, che spiega la semplice e sublime dottrina Evangelica, non gode presso di loro più alcuna stima, che avvezzi ormai alle menzogne giornalistiche, non sentono che nausea di qualsiasi cibo spirituale e nel prete medesimo non vedono che un emissario dei propri sfruttatori.

E che resta mai a fare per un povero Vescovo, che con immenso schianto dell’animo, vede così deserta la greggia, se non chiamare a raccolta i pastori, ed esortarli in visceribus Christi, (sul corpo di Cristo)a raddoppiare gli sforzi, per ricondurre all’ovile tante pecorelle che vanno con certo precipizio a rovina?

A voi, quindi, Venerabili Fratelli Nostri Sacerdoti, ci rivolgiamo a mani giunte, e vi scongiuriamo, per quella imposizione delle mani che fece sostegno della Nostra debolezza; per quella sacra promessa di obbedienza, che vi lega alla Nostra persona, ad essere uniti fra di Voi e con Noi, coi legami della più ardente carità. Rammentate la sublimità del Vostro Ministero; ricordatevi di quell’istante, quando le vostre mani grondanti dei sacri crismi, venivano avvolte e legate da un candido lino, a rammentarvi che vi siete completamente mancipati, cioè vincolati alla grande missione Sacerdotale, che tutta compendiasi in due parole; gloria di Dio, salvezza delle anime. Non vi sfugga mai dalla mente, che mettendo il piede sulla soglia del santuario, avete detto che il Signore è la porzione della vostra eredità, e che la condizione indispensabile per salire alle vette del monte santo di Dio è la purezza del cuore e la santità dell’opera: innocens manibus et mundo corde ... Vos estis sal Terrae ... Vos estis lux mundi, (innocenti di mani e di cuore puro ... Voi siete il sale della Terra ... Voi siete la luce del mondo)  ha detto il Divino Istitutore della Chiesa: et si sal evanuerit, in quo salietur? 1... (e se il sale diventerà insipido, con che cosa gli si renderà sapore?) La pena più grande che tormenta l’anima, è quando si sente dai popoli gettata nel fango la dignità dei Sacerdoti; è quando ci si rimprovera che ipsi peccamus qui aliorum compescere peccata debemus (pecchiamo proprio noi che dovremmo frenare i peccati altrui). Lo so, fratelli, lo so: la malizia degli uomini è grande, e colpire il Clero è l’arte malvagia dei nemici della Religione. Ma e se non fossero del tutto calunnie? E se qualcuno dei nostri Venerabili cooperatori avesse fatto dire di sé, dimenticandosi l’avvertenza dell’Apostolo: ab omni specie mala abstinete vos (tenetevi lontani da ogni apparenza del male)?

Due sono le taccie più formidabili, con cui cercano di colpirci i malvagi: il soverchio attacco all’interesse, e la difettosa moralità del costume. Noi siamo i primi a riconoscere quanto siano infami e infondate queste accuse, Noi che siamo testimoni quotidiani dei grandi sacrifici che deve compiere la massima parte dei Nostri Sacerdoti per trascinare meschinamente la vita, Noi che sappiamo di quale integrità di vita siano forniti. Ma purtroppo basta talvolta anche l’esempio di un solo, che venga meno ai suoi doveri, perché ne scapiti tutto il ceto sacerdotale; basta che uno si mostri attaccato al danaro, perché si dica che i preti fanno mercato e bottega: basta che uno anche solo colla lingua si mostri un po’ men che riservato e scurrile, perché si ripeta fino alla nausea che i preti sono uomini come gli altri. D’altra parte il continuo necessario contatto col mondo, l’assistere quotidianamente al deprimente spettacolo di egoismo e di dissolutezza che ovunque dilaga, è un terribile dissolvente di ogni più sana e santa energia; ed è necessario che noi corriamo ogni giorno ai ripari, come l’esperto pilota che di continuo sorveglia i piccoli danni del suo naviglio, per non trovarsi quando che sia al pericolo di grossa falla, che sarebbe impossibile chiudere o rimediare.

E’ pregiudizio abbastanza diffuso fra il Clero, come sapientemente osserva nei suoi ritiri il Card. Mercier, che appunto perché si chiama Clero secolare, non sia tenuto alla perfezione della vita cristiana; ed infatti si sentono alcuni scusare la loro vita dissipata e mondana col dire: alla fin dei conti, non siamo mica frati noi !!! Quasi che la gerarchia Ecclesiastica a cui apparteniamo, sia qualche cosa di meno della vita religiosa. Fratelli, non ci illudiamo; lo stato religioso è uno stato di perfezione da acquistarsi (perfectionis aquirendae) , mentre lo stato Sacerdotale è stato di perfezione già esistente in atto, e da comunicarsi agli altri (perfectionnis aquisitae). E quindi ricorderete che nel giorno della vostra Ordinazione Sacerdotale, il Vescovo invocando sopra di voi i doni celesti diceva: eluceat in eis totius forma justitiae (risplenda in essi l’essenza di tutta la giustizia)  e più avanti: ut gravitate actuum, et censura vivendi probent se seniores ... ut in lege tua die ac nocte meditantes, quod legerint credant; quod crediderint doceant; quod docuerint imitentur; justitiam, constahtiam, misericordiam, fortitudinem ceterasque virtutes in se ostendant; exemplo praebeant; admonitione confirment (affinché dimostrino di essere veramente anziani con la gravità degli atti e la dignità del modo di vivere ... affinché meditando nella tua legge giorno e notte credano ciò che leggono; insegnino ciò che credono, imitino ciò che insegnano; mostrino in sé giustizia, perseveranza, misericordia, fortezza e tutte le altre virtù; le dinostrino con l’esempio; confermino con la parola). Né meno esplicitamente a questa vita di perfezione ci richiamano i sacri canoni: Clerici debent sanctiorem prae laicis vitam interiorem et exteriorem ducere eisque virtute et recte factis in exemplum excellere (i Chierici devono condurre una vita più santa rispetto a quella dei laici interiormente ed esteriormente e devono superarli, nell’esempio, in virtù e buone azioni) (Can. 124). Ed a tal fine si insiste perché: 1° Ut Clerici omnes poenitentiae sacramento frequenter conscientiae maculas eluant; Ut iidem quotidie orationi mentali per aliquod tempus incumbant, sanctissimum Sacramentum visitent, Deiparam Virginem mariano rosariio colant, conscientia, suam discutant. (1° affinché i Chierici cancellino tutte le macchie della coscienza accostandosi frequentemente al sacramento della penitenza; 2° che gli stessi si dedichino ogni giorno per qualche tempo alla meditazione, visitino il SS. Sacramento, venerino la Vergine Madre di Dio con il rosario mariano, facciano l’esame di coscienza)  (Can. 125). E siccome non è possibile questa vita interiore di perfezione, se non è assicurata dal  fondamento che sostiene ogni virtù, così la Chiesa comanda ai suoi Ministri la piena soggezione ed obbedienza ai legittimi Superiori: omnes Clerici praesertim vero Presbyteri speciali obligatione tenentur suo quisque Ordinario reverentiam et oboediantia, exibendi. (tutti i Chierici, ma in modo particolare i presbiteri, sono obbligati a prestare rispetto ed obbedienza ciascuno al proprio Ordinario)  (Can. 127). Né meno grave che nello stato religioso, è per il Sacerdote l’obbligo della perfetta castità: Clerici in majoribus ordinibus constituti a nuptiis arcentur et servandae castitatis obligatione ita tenentur, ut contra eandem peccantes sacrilegii quoque rei sint (i Chierici insigniti degli ordini maggiori hanno il dovere di non contrarre nozze e sono obbligati a rispettare la castità in modo tale che coloro che non rispettano tale obbligo sono colpevoli anche di sacrilegio) (Can. 132). Dalle quali cose evidente risulta l’obbligo pel Sacerdote di una vita di perfezione; senza della quale non si corrisponde affatto alla propria vocazione, ed inutilmente si lavora alla salute delle anime. Alla vita santa pertanto, alla vita mortificata vi richiamiamo, o Fratelli; poiché soltanto con questa ci meriteremo da Dio la grazia di ottenere il frutto del nostro lavoro apostolico, e daremo ai popoli l’esempio, che più di qualunque predica varrà a richiamarli sul retto sentiero.

 

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E perché non si creda che il silenzio del Vescovo, sia tacita approvazione o per lo meno tolleranza di inqualificabili disordini, mentre tante volte non è che longanime angosciosa aspettativa, per vedere se un po’ di resipiscenza facesse rientrare alcuni sul buon sentiero,  Ci teniamo a protestare altamente che non seguono le direttive del loro Ordinario quei tali, che comunque sia, e per qualsiasi fine, nel vestire, nel trattare, nelle amicizie, negli affari, ostentano una indipendenza orgogliosa da ogni autorità e da ogni legge: che convinti dalla loro superbia di essere superuomini, pensano ed agiscono, parlano ed operano al di sopra ed al di fuori di ciò che ai Superiori potrebbe essere men che gradito.

Non possiamo a meno di non deplorare la condotta di alcuni che nel loro smisurato orgoglio hanno creduto di potersi servire del Partito Popolare per crearsi una indipendenza di associazione e di azione che li sottragga alla sorveglianza ed alla direzione del Vescovo. Non saremo certo Noi quelli che condanneremo un partito che si propone di portare lo spirito Cristiano in mezzo agli ordinamenti della società civile; anzi lo guarderemo anche Noi con quell’occhio di benevola aspettative, con cui lo guarda l’Episcopato Italiano. Ma non saremo poi tanto ciechi da non comprendere i motivi per i quali alcuni membri del Clero si affannano ad avere in mano la direzione del Partito stesso; e nel mentre protestano che il Partito deve tenere alta la sua aconfessionalità a tal senso da aborrire come pericolosa anche una semplice relazione di deferente amicizia colla Autorità Ecclesiastica, per non comprometterne, come essi dicono, la dignità, vorrebbero poi, se loro riuscisse, asservire al partito stesso ogni azione cattolica, così nel campo economico che nel sociale. No, o sacerdoti, nol potete fare. Finché portate la veste sacerdotale, finché celebrate la Messa, finché volete corrispondere alla vostra vocazione, e non rinnegare la vostra Sacra Ordinazione, voi siete pienamente soggetti al vostro Vescovo, e non potete agire indipendentemente da lui. Il vostro lavoro deve applicarsi in piena corrispondenza e sottomissione colla Autorità Ecclesiastica; senza il Suo assenso non vi è lecito nemmeno dare il nome al partito, nonché prendere in esso un ufficio qualsiasi. E quando siete stati autorizzati a darvi il nome, ad esercitarvi una carica, non dovete mai dimenticarvi che siete preti, e quindi dipendenti dal Vescovo; e dovete sempre esser pronti a dimettervi, quando sapeste che vi si vuol condurre a fare cosa che sia contraria ai voleri del Vostro Superiore. L’Autorità Ecclesiastica non pretende e non vuole esercitare sul partito e sulla sua direzione un dominio qualsiasi; ma essa pretende e vuole che i membri del partito, specialmente poi se preti, non dimentichino mai che sono cattolici, e come tali, completamente sottomessi alla vigilanza della Chiesa.

Il Partito Popolare, come tutti i partiti, è mutabile, e potrebbe tralignare; e sarebbe semplicemente puerile, per non dire fatale, il voler legare alle sorti del partito stesso tutto il nostro lavoro religioso, sociale, economico. La Chiesa ha una missione al di sopra dei partiti; anzi al di sopra degli ordinamenti sociali di una data nazione, o di una data epoca; a lei spetta la formazione delle coscienze, il precisare le basi della giustizia e del diritto; perché essa sola è depositaria infallibile della verità e della legge morale in riguardo al fine dell’uomo. Ora il Sacerdote, ministro di questa Chiesa, non può tradirne o svisarne la missione; non può impiccolire il suo lavoro, limitandolo agli interessi di un partito, per quanto sia esso favorevole ai principi Cristiani. Noi dobbiamo formare dei Cristiani schietti e sicuri sia nel credere che nell’operare; senza preoccuparci del partito a cui possano appartenere; viene poi da sé che i Cristiani così preparati, se dovranno favorire un partito, sapranno essi stessi scegliere quello che dà maggiore affidamento di indirizzo Cristiano.

Altro errore dannosissimo, che guai se potesse infiltrarsi nel Clero è la distinzione fra prete e cittadino, fatta nel medesimo soggetto. Come prete io sono soggetto alla Autorità Ecclesiastica: come libero cittadino ho diritto di pensare e di operare a mio talento. Distinguiamo o cari, per carità, perché l’equivoco sarebbe assai pernicioso. La condizione del Sacerdote non è né da paragonarsi né da confondersi con quella di un pubblico impiegato. Un maestro, un medico, un avvocato, possono fino ad un certo punto dire così; un prete no. Il prete è una missione che obbliga interiormente ed esteriormente; non è sola l’azione esteriore che il sacerdote ha messo al servizio della Chiesa; non è solo in dati momenti ch’egli è prete: Tu es sacerdos in aeternum! (Tu sei Sacerdote in eterno!) Egli è prete nel corpo, nell’anima, nella volontà; in privato ed in pubblico; in Chiesa e fuori di Chiesa; la sua missione egli la deve esercitare continuamente, dovunque. Non è mai il prete libero cittadino nel senso stretto della parola; non può mai egli dire o far cosa che ripugni al suo stato, senza venir meno ai suoi doveri; il Carattere è incancellabile, e quindi imprescindibili i doveri che ne conseguono. Un avvocato potrà fuori di udienza far comunella cogli avversari ch’egli combatte nella causa; un prete no, sotto pena di esser tacciato da traditore e da ipocrita. Non gli si nega di poter trattare caritatevolmente anche cogli avversari della propria fede; ma in maniera però che da tutti si comprenda come egli faccia questo con retto fine, e stando al suo posto; e non vi sia nemmeno il più leggero sospetto ch’egli ne condivida le idee, o ne favorisca le opere.

Anche nell’esercizio della carità, nell’intrapprendere qualche opera di pubblica o privata beneficenza, il prete deve essere pienamente sottomesso al suo Superiore; e niente iniziare, niente continuare, se non in pieno accordo con Lui. Ci dicono che vi sia qualche prete il quale direttamente od indirettamente corrisponde con giornali o con periodici, non importa di qual colore, e sotto il velo dell’anonimo, coopera non saprei dire a diffondere quali idee. Egli non opera da Sacerdote fedele; egli sa che nessun prete deve pubblicare che si sia per le stampe, senza averne ottenuta licenza dal suo Ordinario. E’ questione di disciplina, ed in questa sta la nostra forza.

Ci si dice che vi siano dei preti i quali fanno chiacchierare di sé, perché frequentano le bettole; bevono un po’ troppo; giocano, oppure si vedono spesso nei pubblici ritrovi a tarda ora. Speriamo che siano esagerazioni, ma chi non vede quanto sarebbe vituperato il ministero nostro, se ciò fosse vero? Si tollera appena che un prete, venendo da lontano, ed avendo bisogno di ristoro, entri per necessità in un pubblico esercizio per rifocillarsi; ma sarà sempre biasimevole che ciò si faccia per un passatempo, per isvago; e peggio ancora nelle ore notturne, assieme con laici, più o meno scioperati, con gravissimo scandalo di chi vede, e di chi viene a saperlo.

Non accenniamo nemmeno ad altre cose, che farebbero venire il rossore alla fronte al solo pensarle. Eppure quante chiacchiere non si fanno anche su questo punto? Fratelli, lo so, durus est hic sermo (duro è questo discorso): ma potrà il Vescovo tacer sempre, con grave pericolo che lo si creda connivente? Sono insinuazioni dei malevoli, nella maggior parte dei casi: non Ne dubitiamo; ma è poi sempre vero che nel parlare e nel trattare, il contegno di tutti i Sacerdoti è tale da non ingenerare sospetti?

Ma è tempo oramai che raccogliamo le fila, e veniamo al termine. Le nostre parole non hanno altra pretesa che di essere uno svegliarino, il quale richiami tutti allo scrupoloso adempimento di ogni più sacro dovere: i fervorosi perché perseverino; i tiepidi perché si infervorino.

Rammentino adunque i Sacerdoti l’obbligo gravissimo della propria santificazione personale, la necessità di una stretta e confidenziale unione col proprio Superiore e quindi l’unità di azione con Lui nel proprio apostolato, il generoso distacco dagli interessi materiali, e la prontezza nel sacrificio; e passiamo senz’altro a quello che dobbiamo fare per il nostro dilettissimo gregge.

 

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Anime care, redente dal Sangue di un Dio, figli in Gesù Cristo carissimi; a voi la parola del Pastore e del Padre. Voi soffrite terribilmente di anemia spirituale; l’aria che respirate, impregnata di orgoglio, di sensualismo, di cupidigie, vi attossica. Non mai come adesso la sete dei vani beni di questo mondo ha acceso i petti dei mortali, né forse mai per appagarla gli uomini hanno messo tanto in dimenticanza i loro doveri di Fede e di Religione. Gli insegnamenti di nostro Signore Gesù Cristo sono quasi interamente trascurati, e le folle si allontanano dagli altari ripetendo la frase, che un giorno risuonava sul labbro dei giudei: “Quis potest eum audire?” (Chi può ascoltarlo?). Le migliorate condizioni economiche del contadino e dell’operaio, anziché sollevarne lo spirito a più nobili e santi ideali, gli hanno fatto dimenticare il suo ultimo fine, e ne hanno stuzzicato gli appetiti più bassi e volgari.

Ma, in nome di Dio, ditelo; avete proprio in questa nuova vita trovata la pace? E’ tranquillo il vostro cuore, quieto il vostro spirito? Perché sulle vostre fronti si legge sempre una ruga di angoscioso turbamento, perché sulle vostre labbra risuona più che mai mordace la parola dell’odio, perché siete in agitazione continua? Non vedete col fatto che non sono i beni terreni quelli che vi appagano; e che vi manca una cosa che sola può farvi contenti, la pace della coscienza, il riposo in Dio? No, persuadetevi, non è di solo pane che vive l’uomo; non basta saziare il ventre, accontentare il corpo. L’anima vuole la sua parte: anch’essa ha bisogno di cibo; ed il suo pane è la verità eterna, è la parola della fede; è la legge di Colui che ha detto: “Io sono la via, la verità, la vita”. Voi avete necessità di imparare a conoscere intimamente Gesù Cristo. I vostri nemici avevano bisogno di incatenarvi come schiavi al loro carro trionfale, di asservirvi come stromenti inconsci alle loro mire bieche di pervertimento morale della società umana, per farla apostatare da Cristo; e per arrivare a questo loro fine, vi hanno inoculato due veleni: l’odio alla Chiesa, e la sete del godimento. Coll’odio alla Chiesa, e col disprezzo del prete, vi hanno separato dai vostri naturali difensori, dalle vostre guide, dai vostri maestri; colla sete del godimento hanno cercato di ubbriacarvi, e farvi perdere di vista la vostra dignità, la libertà vostra, che vi fu data da Cristo.

Né meno schiavi siete voi, o figliuoli, cui l’educazione, il censo, la condizione sociale ha posto in grado più elevato, e che fate professione di apatia ed indifferenza religiosa. Il pregiudizio anticlericale, e la follia del liberalismo, vi hanno circondati di catene, tanto più strette, quanto più lucidate col lustro fallace della libertà. Disingannatevi che è tempo; senza religione non v’ha libertà, né di spirito, né di azione, né di vita. Vi hanno dipinta la Chiesa come tiranna delle coscienze, come nemica del sapere, come osteggiatrice d’ogni libertà civile. Ma la Chiesa ha una vita venti volte secolare; ha una storia che è indivisibile affatto dalla storia della civiltà d’Europa e della massima parte del mondo conosciuto; e questa storia ve l’hanno nascosta, ve l’hanno mutilata, ve l’hanno fatta conoscere attraverso le lenti della Massoneria, e del materialismo. Se siete logici, se volete davvero esser colti, studiate la storia della Chiesa nelle sue fonti più attendibili, nei monumenti imperituri che la illustrano e la ricordano, nei grandi uomini che in ogni tempo la onorarono e la difesero. Muterete idee; v’accorgerete che foste ingannati; comincerete a stimarla e ad amarla. Imparate a conoscer meglio il suo Fondatore, Gesù Cristo, nostro Signore e nostro Iddio. Vincete il rispetto umano, l’orgoglio ingiustificato che vi tiene lontani dal tempio, che vi fa disertare le prediche. Le idee grette del libero pensiero, che per più di un secolo pesarono come cappa di piombo sulle nostre scuole, sulle nostre istituzioni, sulla vostra classe, sono in gran parte sorpassate. Dai centri più illustri del sapere, da parecchie Cattedre d’Italia e di fuori, partono voci autorevoli a stigmatizzare l’incredulità, a sfatare l’inganno di una scienza atea, impotente affatto a sciogliere i grandi problemi che affaticano l’anima umana. Il ritorno a Dio si prospetta come fulgida aurora precorritrice di giorni migliori. Non siate voi gli ultimi in questo risveglio intellettuale e morale; strappatevi alle spire soffocanti della setta che tenta ancor di tenere il sopravvento in questa nostra cittadina, tornate a Dio, alla Chiesa, alla Religione.

Ma non basta il risveglio della fede; occorre il ritorno alla pratica della vita Cristiana. E deve essere un ritorno sincero e pieno, non fatto a metà. Il far consistere la propria religione in alcune pratiche esterne, combinate colla trascuranza di una gran parte dei più importanti doveri, è un inganno e un tradimento insieme. Chi è Cristiano lo deve essere per intiero, tutto di un pezzo, in chiesa, in casa, nei ritrovi, nelle associazioni, di fronte al pubblico. Lo deve essere nella sua vita, nelle sue relazioni, nella sua moralità. I Comandamenti di Dio e della Chiesa devono essere la regola delle sue azioni, e mai si deve da quelli allontanare; anche se l’obbedirli portasse con sé qualche sacrificio di amor proprio e di borsa. Fino al sangue, fino alla morte bisogna resistere, poiché nostro Signore ci ha detto chiaro che se amiamo qualche cosa più di Lui non saremo degni di Lui. Le grandi tentazioni che allontanano da Gesù Cristo sono la cupidigia delle comodità della vita, l’orgoglio della mente che non vuole accettare le verità rivelate; e la signoria del danaro, unica divinità a cui piegano le ginocchia i folli mondani. Per causa di queste molti apostatarono da Cristo, e molti altri vivono come se Gesù Cristo e la sua dottrina non esistessero.

La cupidigia dei piaceri e delle comodità della vita, va sempre più pervertendo il senso morale, toglie ogni idea di sacrificio e di lotta contro le passioni. Quindi è entrato nel concetto di molti che il godimento sia un diritto ed una necessità della vita presente, e che ogni ostacolo il quale si incontra sulla via del piacere, sia una ingiustizia, una oppressione, una degradazione. Oh accecati mortali! Vi siete adunque dimenticati che non è la terra il nostro ultimo fine? Vi siete scordati che il tempo presente è di preparazione e di lotta: “Militia est vita hominis super terram” (Una lotta è la vita dell’uomo sulla terra)? Che “Non habemus hic manentem civitatem, sed futuram inquirimus” (Non abbiamo qui una città che rimane, ma cerchiamo quella che sarà) ? Non sapete che “Christus cum esset dives, egenus pro nobis factus est” (Pur essendo Cristo ricco, si fece povero per noi)? Rammentate la giusta osservazione di S. Bernardo: o Cristo sbaglia, o il mondo si inganna; ricordatevi la bella affermazione dell’apostolo Paolo: “non sono da mettersi a confronto i patimenti di questo mondo, colla futura gloria che si manifesterà a noi”. Anzi il patire è posto come condizione per raggiungere la gloria: “Si compatimur et conglorificabimur” (Se patiamo, saremo anche glorificati).

L’orgoglio umano che ha voluto ribellarsi alla rivelazione, ha trovato in se stesso il castigo; tanto è vero che gli uomini hanno smarrito la base su cui fondare la legge morale; e le coscienze vanno ogni di più mancando dei fondamenti. Anzi il determinismo è diventato per molti dottrina di moda; e la stessa distinzione fra bene e male, è riputata più una convenzione sociale che una verità immutabile, e si è convinti che anche le mostruosità più immorali potranno esser lecite, col modificarsi dei criteri morali delle coscienze!

Da questo caos morale deriva l’abbrutimento del costume, il nessun rispetto né all’onore e neppure alla vita del prossimo, l’ingiustizia esercitata come accortezza di traffico, il furto e la frode elevati a sistema; gli attentati al diritto di proprietà, le teorie del socialismo e dell’anarchia, con tutti i perturbamenti sociali che agitano la società umana.

L’impero tirannico del danaro, unica divinità sostituita al vero Dio, da cui si è apostatato, ha prodotto le guerre che ci dilaniarono in questi ultimi anni; ed è quello che tiene lontana la pace tanto desiderata, e che non ancora regna fra gli uomini. Per il danaro molti hanno dimenticato Iddio; e sottraendosi al giogo soave di Gesù Cristo, hanno piegato il collo ad una schiavitù delle più obbobriose, quella delle sette, e del sovversivismo sociale.

Regni di nuovo Gesù in mezzo a voi diletti figliuoli, e con Lui regni la Carità, che sola può apportare al travagliato umano consorzio i giorni sereni cotanto desiderati! E perché egli regni in voi, e nelle vostre famiglie, tornate alle Chiese, alle pratiche religiose, alla frequenza dei Sacramenti! Intensifichiamo il lavoro della istruzione religiosa sia nei piccoli col catechismo, sia nei grandi colla predicazione delle verità eterne, che risvegli la fede assopita.

Amate e rispettate i Sacerdoti, che sono i maestri della verità Evangelica posti da Dio in mezzo a voi, perché vi siano di luce e di guida. Sacerdoti e fedeli, state uniti nei più stretti vincoli di soggezione e di amore al vostro Vescovo, che rappresenta fra voi l’Apostolo di Cristo; e con Lui stringetevi più che sia possibile al Vicario di Gesù Cristo, al Sommo Pontefice, che di Cristo medesimo tiene sulla terra le veci.* * *

 

Una grande manifestazione di fede sta per prepararsi, qui nel centro della Cattolicità, nella nostra Roma, fra breve. Nel prossimo Maggio, e precisamente nei giorni 22, 23, 24 nella eterna Città, sarà tenuto il Congresso Eucaristico Internazionale; ed il giorno 25, festa dell’Ascensione del Signore, lo stesso Sommo Pontefice porterà in trionfo nella solenne processione l’augustissimo Sacramento d’amore.

E’ dal trionfo di Gesù Sacramentato che ci aspettiamo tutti un risveglio salutare di fede nella nostra per tanti titoli carissima Italia. E perché abbia a riuscire più completo, dobbiamo tutti concorrervi. Speriamo che anche la Nostra Diocesi voglia essere rappresentata in quella circostanza da un numero rispettabile di pellegrini che si rechino a Roma a prender parte alla grandiosa dimostrazione di Fede. Intanto però è volontà Nostra che anche in Diocesi siano tenute giornate Eucaristiche, per far comprendere ai popoli l’importanza del grande avvenimento, e per ravvivare la fede e l’amore verso Gesù Sacramentato. Noi stessi, nella Nostra Cattedrale ne daremo l’esempio, e con separato avviso ne saranno fissati il tempo ed il modo. Ma desideriamo che nei centri principali col concorso dei sacerdoti e del popolo delle parrocchie limitrofe si faccia altrettanto; e si parli di nostro Signore, dell’immenso suo amore per gli uomini, della necessità di vivere uniti con Lui mediante questo sacramento; si eccitino i fedeli alla comunione frequente, alla S. Messa, alle funzioni Eucaristiche.

 

 


Un altro grande avvenimento sta per compiersi; il terzo centenario della istituzione della S. Congregazione per la Propagazione della fede. Fu desiderio della S.M. di Benedetto XV, ed è volontà dell’attuale Pontefice Pio XI, che anche questo centenario sia celebrato con tutta solennità, e se ne faccia conoscere al popolo la grande importanza. E’ dovere di tutti coloro che hanno ricevuto il dono della fede, affaticarsi e concorrere perché possano esser partecipi dello stesso inestimabile dono quelli che dormono ancora in seno all’infedeltà ed agli orrori del paganesimo. E per disgrazia sono ancora più di mille milioni di creature umane che non hanno ricevuto il beneficio della luce Evangelica. Bisogna adunque favorire in tutti i modi, le S. Missioni e specialmente colla elemosina. Sorga adunque in tutte le parrocchie l’opera della Propagazione della Fede; vi si iscrivano tutti i fedeli, contribuiscano col loro obolo modesto alla grande opera, e si acquistino quella ricchezza di meriti che Cristo e la sua Chiesa mettono a disposizione di chi lavora alla conversione degli infedeli.

Ma se tanto preme portare la Fede nei paesi dove non è ancor conosciuta; non è meno importante conservarla colà dove essa da lungo tempo ha posto le sue tende pacifiche. E proprio nei nostri paesi essa corre grande pericolo di andare perduta, specialmente per la mancanza di Sacerdoti, e per la ignoranza delle cose di religione.

Raccomandiamo pertanto al Clero ed al popolo due cose: Le vocazioni Ecclesiastiche, e la Dottrina Cristiana.

Non si trascuri anche il più piccolo germe di vocazione; e non appena vi accorgete che qualche ragazzetto mostra buone disposizioni, mettetelo subito in relazione o con Noi, o col Rev.mo Rettore del Nostro Seminario, perché si possa provvedere per la sua educazione.

Quanto alla Dottrina Cristiana, richiamiamo tutte le disposizioni che abbiamo altre volte emanate; ed ordiniamo che ciascun parroco ci sappia dire di preciso quale sarebbe il tempo da lui stabilito, perché noi veniamo a visitare la scuola della Dottrina, e a sentire il saggio di ciò che è stato insegnato.

Un’ultima cosa ci preme di richiamare. Ci fu riferito con qualche insistenza che qualche Parroco si è preso l’arbitrio di unire in matrimonio, contro la Nostra disposizione, persone che non intendevano di fare l’atto civile. Noi non lo vogliamo credere, e teniamo a dichiarare che chi così facesse incorre nella pena della sospensione a divinis, ipso facto incurrenda. Noi siamo in proposito fedeli esecutori delle disposizioni del Sommo Pontefice; e torniamo ad ordinare che assolutamente, e sotto qualsiasi pretesto, nessun Sacerdote si arroghi il diritto di unire in matrimonio due sposi, i quali, excepto mortis periculo (fatta eccezione per il pericolo di morte), non contraggano simultaneamente anche l’atto civile.

Così pure ordiniamo in virtute sanctae oboedientiae (in virtù della santa obbedienza), che siano registrati nel Libro dei Matrimoni della parrocchia, tutti i matrimoni che da chi si sia, e con qualsivoglia delegazione, vengono celebrati nell’ambito del territorio della parrocchia stessa, anche se gli sposi fossero entrambi di alta parrocchia. E di questo ne chiamiamo responsabile il Parroco stesso, il quale deve registrarli subito ed in ordine cronologico, come se fossero dei suoi parrocchiani; ed è tenuto a dar notizia dell’avvenuto matrimonio al parroco del luogo ove gli sposi furono battezzati.

Ed in pegno del più sincero paterno affetto, impartiamo di cuore al Clero ed al popolo la nostra Pastorale Benedizione.

Dalla Nostra Residenza, il Mercoledì delle Ceneri del 1922

 

X CARLO Vescovo

 

 

1   Matteo 5, 13-14


 

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