RICORDI E MEMORIE DA ME AVUTE DA PARTE DI MONS. LIVIERO
1. Conobbi Mons. Liviero fin dal suo ingresso avvenuto la sera della vigilia di S. Pietro 28 giugno 1910.
2. Iniziai a frequentare le sue prediche dopo la mia conversione di ritorno a vivere la vita della S. Chiesa, allora conobbi e potei a Lui parlargli con frequenza nelle conversazioni che dopo la sacra funzione della sera, davanti al suo portone dell’episcopio soleva intrattenerci a noi giovani cattolici del circolo da Lui fondato “S. Florido” con una rara competenza ci illustrava tutte le stelle maggiori del firmamento, come si chiamavano e il loro valore nell’orbe, ma da ognuna di queste lezioni il finale era sempre per dimostrare a noi, la potenza e la grandezza del Creatore, incoraggiandoci a vivere santamente in ordine, la nostra fede cristiana proprio come il nostro Creatore aveva voluto dimostrarci.
3. Il pulpito per Mons. Liviero era la cattedra dove OGNI SERA egli al gregge a Lui affidato spezzava il pane spirituale che fu nostro migliore nutrimento, ma altresì fu il grande difensore degli umili, degli oppressi, dei poveri, e da esso, era un angelo, ma era un tuono quando doveva affermare difendere un principio di giustizia sia nel campo cattolico che nel campo sociale affinché fosse dato a Dio quello che è di Dio, agli uomini il loro giusto riconoscimento.
4. Ricordi: ne accennerò solamente uno che sempre mi ricorda come questo grande uomo ebbe fiducia della Divina Provvidenza; alla predica serale prima di iniziare l’argomento che avrebbe trattato, rendeva note le offerte per la grande opera da Lui iniziata, l’Ospizio S. Cuore, dopo la lettura di dette offerte egli sempre dico sempre, con grande commozione, così concludeva: che Iddio ricompensi i generosi benefattori, molte volte lo vidi commosso nel ringraziare la Divina Provvidenza di tanto bene. Non era la frase formalizzata, ma era per Esso, un inno, un trionfo, che Lui tributava giornalmente alla Divina Provvidenza.
5. Un particolare che mi fece conoscere sempre meglio il mio caro Vescovo: essendo l’anno 1927 nel mese di luglio cadendo il 9 di detto mese la festività di S. Veronica Giuliani, ed essendo l’anno del congresso Eucaristico, vi fu una grande cerimonia per la vestizione di una suora cappuccina, la Venturini, ed in occasione del centenario della morte di Santa Veronica Giuliani, vi fu nella Chiesa della Madonna delle Grazie, tale vestizione ed il pontificale di apertura delle feste Eucaristiche, tenute da Mons. Liviero, una folla strabocchevole ed un caldo impressionante, dopo il Pontificale Mons. Liviero condusse al monastero la suddetta Venturini, e deposti gli abiti pontificali in parlatorio mi chiamò con la sua potente voce: Mario vieni con me. In fondo al parlatorio abitazione della servigiana, allora vi era un fondo che la servigiana vi teneva le legne di fascina, condottomi là mi disse che data la sua stanchezza lo avessi aiutato a cambiarsi la veste talare, cosa che io di buon grado mi aggiunsi a fare, appena tolta la veste talare mi fece impressione come era vestito, sotto tale veste aveva i calzoni ed il gilet, che sembravano un vestito di Arlecchino, tutto toppe di rammendo da vari colori, Lui accortosi del mio osservare in che stato era il mio caro Vescovo, mi disse: Non ti impressioni ciò sono capolavori di mia sorella Nana, mi fece tanta impressione tale fatto constatando la Sua pochezza che egli contava la Sua persona e la sua miseria nel vestire.
Era genialissimo nel disegno, come era geniale in tutto il Suo operare da si mente elevata. Un giorno venne nel laboratorio da falegname dove egli si serviva per l’Ospizio; il proprietario aveva il sopranome di “Sfiarino” ed appena entrato nel laboratorio domandò: dove è Sfiarino? Ed avendo avuto Risposta affermativa chiese di ordinare un lavoro, lo Sfiarino rispose che il capo operaio era il sottoscritto, perciò doveva rivolgersi a me, e così avvenne mi disse: Io voglio fare delle bancate comode per la mia cattedrale, ma devono essere molto belle. Risposi: Eccellenza farò del mio meglio, al che gli feci un piccolo disegno sul tipo delle vecchie ed usuali banche, al che mi disse: No per pregare bene, occorre anche stare bene, a sedere ed in ginocchio, ed allo stesso tempo con un’intuizione da artista mi disegnò il tipo di panca che a Lui piaceva e che dovevao poi essere il tipo che oggi adornano la Chiesa dell’Ospizio S. Cuore e moltissime Chiese della Diocesi; è doveroso rendere omaggio a Lui per la Sua genialità che veramente piacque a tutti ammirando la Sua Grande anima di Artista.
Ma l’episodio più grande che mi è nella memoria e che mi fece vedere e costatare l’uomo di grandi vedute fu il seguente: Città di Castello roccaforte del socialismo di Bonavita, aveva a Lui dato sempre dei dispiaceri essendo per questi il loro martello. Era il giorno di Pasqua del 1920 il giorno 27 Aprile erano i primi albori del Fascismo, i socialcomunisti in attesa che fossero venuti i fascisti avevano lanciato alla Città un ordine Del giorno che si sarebbero battuti fino all’estremo se fossero venuti i Fascisti, noi giovani cattolici che dal socialcomunismo avevamo sempre delle violenze al punto da non essere a noi permesso la passeggiata per il corso Vittorio Emanuele per tutta la sua estensione, dico anche noi giovani attendevamo che si ponesse termine a tante violenze che essi quotidianamente compivano nei nostri confronti – e venne il famoso giorno di Pasqua: il giorno l’anarchico comunista Vaccarecci nelle ore pomeridiane affrontò senza motivo alcuno il famoso Capitano Venanzio Gabriotti, e venuti a diverbio con esso, essendo il suddetto Gabriotti uomo di stima di Mons. Liviero, fu da questo malmenato insieme ad un altro giovane cattolico che si chiamava Prosperi Francesco, di queste prepotenze si potevano contare una alla settimana, e noi tutto si raccontava a Mons. Liviero nelle nostre conversazioni serali, ed egli ci rispondeva sempre di stare calmi che o prima o poi la giustizia di Dio si fa strada da per se stessa, i fascisti che cercavano il pretesto o l’incidente per venire a Città di Castello, ed essendo il Gabriotti grande invalido della guerra 15-18, presero questa prepotenza dei socialcomunisti ai danni di tale persona con il pretesto di difendere i combattenti della grande guerra e decisero di fare una spedizione per la sera di Pasqua 27 Aprile anno 1920, e così avvenne. Noi giovani cattolici che appena saputo le violenze subite dai nostri amici ci concentrammo al caffè Italia per sapere l’accaduto di questa nuova violenza, in quel mentre arrivò di corsa due giovani cattolici il Bartolini e l’Ascani per dire a noi che alcuni fascisti locali avevano invitato una delle solite squadracce di punizione affinché fossero venuti a Città di Castello per ristabilire l’ordine, e proposero a tali giovani che noi tutti si fosse andati ad aiutare a essi, veramente i soprusi erano tanti che noi subivamo da parte dei socialcomunisti, e credemmo di accettare tale proposta, come si fa? Tutti d’accordo si decise prima di dare una risposta di parlarne al nostro Vescovo, e cos’ lo andammo a cercare in Vescovado, eravamo una ventina di giovani un po’ turbolenti, e la povera sorella Ernesta rimase male quando vide alla porta di casa tale truppa: ci rispose: Mio fratello non è in casa ma la suo Ospizio. Ci bastò tali parole per precipitare tutti insieme all’Ospizio e ci incamminammo per la via Cacciatori del Tevere dove vi era la tipografia Vescovile. Arrivati in fondo a tale via vi è un’immagine della Madonna che imbocca via del Brindano, era la Sua strada che quotidianamente Egli faceva, ci imbattemmo in Lui. Eccellenza venivamo da Lei per farle sapere una proposta, e raccontammo ciò che ci avevano proposto i fascisti, con la Sua grande faccia bonaria che per Lui era dura di doverla far diventare con noi seria. Ci ascoltò, ma appena noi abbiamo terminato di parlare in attesa di una Sua parola ci disse: prima calmo Fioli volete bene al vostro Vescovo??? Si eccellenza. Ed allora facendosi forte con la sua voce, e la sua autorità, ci disse tuonando: Andate andate tutti a casa, vi ho insegnato io forse tali cose? Guai a coloro che non mi ubbidiranno giacchè offenderanno Nostro Signore. Rimanemmo di ghiaccio con tanto entusiasmo che proponemmo la cosa, se ne accorse e ci propose di accompagnarlo a casa essendo Lui di già al corrente dei fatti senza prima avere avuto da noi conferma che saremo stati ubbidienti alle sue direttive. Che veduta lungimirante che Egli ebbe, dopo i fatti svoltisi in tanti anni scorsi? Solo un grande apostolo come era Lui poteva fermarci, ed ebbe ragione.
Era un uomo amante della libertà ed era facile quando al Suo Ospizio poteva avere dai suoi orfanelli qualche passerotto preso nelle tagliole per rendere ad esso la libertà: mi ricordo di essermi incontrato ad un episodio che mi commosse: Erano circa le ore tre del pomeriggio eravamo io e il mio Vescovo nella sala teatro dell’Ospizio, io nella mia qualità di falegname e Lui ad aiutarmi a mettere a posto il sipario di detto teatrino, ad un dato momento un orfanello si vide partire velocemente dalla porta di fondo venendo verso il teatro, ma fermatosi sotto uno dei grandi alberi che essendo primavera era tutto in fiore, ed il Vescovo lo osserva, vede questo fanciullo che dalla tagliola che esso aveva messo, togliere un povero passerotto, immediatamente mi lasciò lasciandomi cadere tutto il sipario in terra, e precipitatosi verso quel bambino voleva a lui togliere il malcapitato passerotto; il bambino accortosi di questo si mise a correre tra gli alberi e non potendo avere la meglio Mons. Liviero si fermò dicendo al fanciullo: Guarda per quel uccellino ho in tasca solo due soldi se tu me lo dai sono tuoi. Il fanciullo non se lo fece ripetere due volte e avvicinatosi al Vescovo gli consegnò quanto aveva chiesto. Io che ero rimasto spettatore fino a quel momento mi avvicinai a lui per chiedere cosa ne facesse ora del passerotto al che mi rispose: Iddio a ognuno di noi ha dato la libertà per potere sempre ringraziarlo. E con la Sua forte voce chiamò a raccolta i Suoi orfanelli presente anche la sorella suora Beni e alzate in alto le mani, come per aiutarlo a riprendere il volo lasciò libero il povero passerotto; amava egli la libertà per se e non voleva che fosse compressa al suo prossimo.
Il mio caro Vescovo non rispecchia l’uomo comune, è una meteora che Iddio ogni tanti anni manda sulla terra a nostro conforto e chi ha vissuto vicino a tale persona non può che con straordinaria affermazione dire di Lui che non era l’uomo comune, ma l’uomo che incidendo il suo passaggio nel tempo lascia una traccia luminosa ed indelebile che nessuno potrà mai cancellare e tali incisioni si chiamano tutte le sue molteplici opere che oggi a distanza di anni sono vitali sono in pieno sviluppo essendo volute da Dio.
Dei ricordi di Mons. Liviero ce ne sarebbero molti e poi molti, ma il miglior ricordo di Lui per me è questo. Era povero. Era umile. Era ed è l’angelo tutelare della sua diocesi che per essa si sacrificò fino alla morte.
Mario Benni