Ricordando Mons. Carlo Liviero
Conobbi Mons. Liviero nella settimana dopo il Suo arrivo; alle salesiane incominciò subito un corso di conferenze per l’istruzione religiosa femminile. Le sue conferenze erano così vive, la sua parola pronta da tenere incatenato l’uditorio per delle ore intere. Noi non avevamo mai sentito niente, eravamo profane in materia e nel sentire la sua parola paterna si sentiva l’amore che aveva per le nostre anime e teneva a farci capire che ci voleva tutte sante.
Ero figlia di Maria assieme ad altre compagne ex alunne e alunne dell’Istituto Salesiane. Tutte le domeniche ci teneva l’adunanza Sr. M. Geltrude Billi, c’insegnava tante belle cose, specialmente cercava di inculcarci l’amore alla purezza e l’amor di Dio, ma erano dei semplici incontri che spesse volte lasciavano il tempo che trovavano.
La mia famiglia era cristiana, praticante, ma quanto ho sentito da Mons. Liviero mi sembrava tutto nuovo, tutto bello. Fui rapita dal suo zelo per l’apostolato che voleva vedere riflesso in noi. Il grido di S. Paolo: Mi faccio tutto a tutti – doveva essere il nostro continuo pro-memoria.
Fin dal primo momento ci fece capire che pur essendo giovanissime la vita aveva un solo scopo: l’amore di Dio e l’amore per l’apostolato tutto il resto doveva passare in seconda linea. Il nostro apostolato non doveva avere né limiti né scrupoli, per far il bene per portare una buona parola alle anime bisognose non si doveva badare a sacrifici, cercando di avvicinare con il medesimo spirito un povero ubriaco e un signore aristocratico.
Fino dal suo primo discorso in Duomo la sera del 28/6/910 dopo aver esposto il suo programma, accorato ci raccomandò di chiamare altra gente che venisse ad ascoltarlo e che frequentasse i S. Sacramenti. Ci fece capire il suo grande amore per il Seminario che aveva bisogno di aiuti e vocazioni. Nelle sere seguenti, ci fece il resoconto dei molteplici bisogni della sua Diocesi. Trovò da principio poca corrispondenza, perché non eravamo abituati all’apostolato, ma non si scoraggiò e con la sua continua ardente predicazione ci trasformò e ci fece lavorare secondo le sue direttive e non voleva trovare in noi nessun ostacolo.
Ogni sera predicava in duomo e noi del gruppo delle conferenze eravamo le più assidue, le più entusiaste e si capiva subito che era un ministro di Dio santo, tanto da sembrare addirittura diverso da tutti.
Nel 1908 era stata fondata l’ “Unione Femminile” con l’approvazione del S. Padre Pio X e Mons. Liviero obbediente alle direttive del S. Padre radunò il gruppo e fondò subito anche a Castello l’Unione femm. E io fui fatta segretaria, cominciai così ad avvicinarlo e ad avere la possibilità di parlargli. Fui conquistata ancora di più dal suo zelo per la salute delle anime. Io gli sembravo fredda, poco entusiasta e Lui fece tutti i suoi sforzi per trasformarmi.
Non potendo visitare contemporaneamente tutta la sua Diocesi faceva spesso dei convegni per incontrare le giovani e le donne della Diocesi. Convegni che da principio non erano capiti neppure dai sacerdoti, che vedevano una novità, ma in seguito portarono molti frutti. Il Duomo in quelle occasioni era gremito di gente, veniva per ascoltare la Sua parola e apprendere le direttive del S. Padre.
Ogni domenica faceva personalmente l’adunanza dell’Unione femm. Alle Salesiane spiegando i fini dell’A.C.
Quando nel 1918 fu fondata la Gioventù Femminile da Armida Barelli, subito ossequiente agli ordini del Papa divise le donne dalle giovani, allora i due gruppi non erano parrocchiali come oggi. Egli continuò a fare le adunanze personalmente, ogni domenica prima alle ragazze e poi alle donne, perché era convinto che la donna nella famiglia e nella società volendo può far molto bene, anche perché, come diceva Lui, la donna quello che vuole, vuole. Alle volte quando era impegnato per il Suo ministero pastorale ritornava in città proprio per queste adunanze, saltando molte volte anche il pasto che nelle feste per la sua dinamicità era troppo lungo. Nelle adunanze cercava di inculcarci l’amore per l’apostolato ed era accorato se non vedeva in noi il desiderio di accostarci frequentemente ai S. Sacramenti e soprattutto insisteva per abituarci alla confessione settimanale e c’inculcava il bisogno della direzione spirituale, la meditazione e il ritiro mensile che regolarmente veniva predicato da Lui, cose queste indispensabili per la formazione.
A quei tempi gli esercizi spirituali erano fatti solo dalle monache e dai preti. Mons. Liviero ci abituò a farli annualmente e ci fece capire e amare questa pia pratica, sempre predicava da sé.
Alle 5 del mattino era in confessionale e chiunque avesse avuto bisogno poteva approfittarne, si tratteneva fino alle 9 e all’occorrenza anche più, e se sapeva di essere desiderato scendeva dal Vescovado anche per un’anima sola.
La prima volta che andai ad un convegno personalmente mi accompagnò ad Assisi, con me venne la signora Landucci per le donne. Ritornai infuocata piena di entusiasmo e voleva fare tutto quello che avevo sentito, non rendendomi conto che bisognava adattare le direttive all’ambiente in cui si vive e perciò feci scattare più di una volta il Vescovo, tanto che una volta risoluto mi disse: - Non ti mando più! Il cervello ce l’hai poco e quel poco te lo bevono -.
Davanti alla sua intelligenza e al suo intuito mi sentivo sempre annientata e comprendevo sempre più che senza le Sue direttive e l’aiuto di Dio non si poteva far nulla.
Dopo i convegni si incominciò a lavorare in Diocesi, prima rafforzò il lavoro in città facendo chiamare ed avvicinare tutte le donne e le giovani della città, cosa che per noi costò uno sforzo enorme, perché non abituate ad affrontare il pubblico e al Vescovo giornate intere di faticosa opera persuasiva, accompagnata qualche volta da rimproveri e strilli ben appropriati.
Nel 1918 incominciò a mandarmi per le parrocchie della Diocesi per fondare i primi gruppi e circoli di A.C. Lama fu il primo gruppo che si poté fondare, poi Pistrino, Selci seguito poi da altre parrocchie. In alcune parrocchie fui respinta dai Sacerdoti i quali dissero che in parrocchia facevano da loro, non avendo capito il movimento cattolico, per quanto prima di mandarmi il Vescovo scriveva personalmente non ero ricevuta. Questo non era un ostacolo per Mons. Liviero, il giorno dopo andava Lui faceva radunare le giovani in Chiesa e faceva Egli stesso uno dei suoi discorsi infuocati e le animava tutte a lavorare.
Finita la periferia e le parrocchie di collina s’incominciò la montagna e qui Mons. Liviero dovette faticare nuovamente molto per convincermi ad allontanarmi per delle settimane intere da casa, perché in quel tempo ci voleva molto per andare da una parrocchia all’altra. Andò personalmente a parlare con i miei genitori, poi mi raccomandò ad un sacerdote di lassù, perché non avevo mai cavalcato e non essendoci le strade si doveva andare per i viottoli con i muli e somari.
Non c’erano sale per le adunanze, d’estate si facevano sotto le ficaie e d’inverno nei capanni del fieno. Se si presentava l’occasione dovevo parlare anche agli uomini e ai giovani, perché era suo desiderio di non tralasciare nessuna occasione per far del bene. Non voleva visite brevi, voleva che lavorassi in profondità accostando anche ogni donna separatamente, perché quegli incontri non fossero all’acqua di rose. Era felice quando mi vedeva espansiva e parlavo volentieri e ascoltavo le contadine e la gente del popolo. Batteva tanto sull’umiltà, diceva che dovevo dimenticare il mio ambiente per far capire al popolo che eravamo tutti eguali. Aspettava ansioso il mio ritorno per avere il resoconto e sentire le impressioni subite nelle diverse parrocchie e zone, si vedeva proprio il Padre desideroso del bene di tutte le sue pecorelle e voleva che a tutti arrivassero le direttive della Chiesa e si serviva di noi come strumenti. Le nostre visite dovevano lasciare un’impronta spirituale da portare frutti e non andare nel dimenticatoio.
Mons. Liviero ha prevenuto i tempi, prima ancora che il consiglio superiore indicasse le gare di cultura religiosa per i singoli rami della gioventù femminile Egli nella Sua Diocesi aveva già iniziato questo lavoro, perché diceva che senza una cultura religiosa non si poteva accostarsi ai S. Sacramenti, né avere una formazione cristiana. Ordinò ai Parroci di fare il catechismo ai circoli e quando mi mandava in propaganda mi raccomandava di chiedere se avevano avuto le lezioni di catechismo e se lo studiavano. Insisteva anche che nel catechismo non si chiedesse cose alte, ma voleva il catechismo pratico, spicciolo, perché le anime imparassero ad accostarsi ai S. Sacramenti, sapessero vincere il rispetto umano e conoscessero per mezzo del catechismo la vita cristiana. Ogni anno faceva gli esami di catechismo e dava i premi consistenti nel Vangelo, massime eterne, la pia giovanetta, corone del S. Rosario, Crocefissi, ecc.
Sorta da G.F. ha intensificato questo lavoro di catechismo e ha voluto che con un Sacerdote andassi in tutte le parrocchie per gli esami per avere un concetto unico. La nostra Diocesi è stata una delle prime a partecipare alle gare di cultura, e ogni anno abbiamo avuto elogi. L’anno poi della disgrazia la nostra Diocesi ha vinto tutti i gagliardetti della gara nazionale: piccolissime, beniamine, aspiranti effettive e dirigenti.
Quando nel 1931 il fascismo sciolse i circoli pensando che si interessassero di politica non è possibile descrivere la pena l’apprensione del Vescovo. Chiamò a me e il cav. Torrioli, anche lui non sapeva cosa consigliarci, perché non aveva avuto direttive dalla S. Sede, alla fine mi mandò nella saletta dove attendevano il tenente, il maresciallo e il brigadiere e mi disse: “va là che il Signore ti farà rispondere Lui”. Dopo questa bufera non si arrese, continuò le adunanze come scuola di catechismo, ci adunava in Chiesa e faceva l’ora di adorazione e ordinò in Diocesi di fare ugualmente. Ci spronava di non lasciarci prendere dall’avvilimento, ma di continuare a lavorare e confidare ad aver fede nell’aiuto di Dio. – Per lui fu un grande dispiacere vedere cambiato il distintivo e i vessilli. Ogni giorno più riconosceva il danno che aveva subito la città e diocesi perché dopo questo fatto molte anime si allontanarono dall’A.C. timorose.
Una delle sue prime iniziative e dei suoi accorati desideri fu la Tipografia S. Cuore, per poterla realizzare mi fece girare per tutta la città e scrivere alle famiglie più facoltose della Diocesi per raccogliere le quote per i primi caratteri-stampa, che fece venire direttamente dalla Germania. Iniziò subito il giornale “Voce di Popolo” settimanale per controbattere gli avversari: “Il Tafano” e “La Rivendicazione”.
Nel 1910 in Via S. Florido c’erano certe sale chiamate Banicchi, dove ballavano tutta la notte ed erano frequentate da persone equivoche che facevano gazzarra giorno e notte. Egli ne soffriva tanto e per Lui erano un assillo continuo e raccomandava accorato dal pulpito che la gente non ci andasse. Per impedire il male lavorò, lottò, si sacrificò, finché riuscì a prenderle in affitto e le adoperò per sale di adunanze, comprò la prima macchina di cinema e faceva cinema e proiezioni. In questo lavoro si fece aiutare molto da suo cugino Don Luigi Desiderà. Ma essendo le sale molto malfamate la gente le frequentava poco volentieri. Allora le fece trasformare in quartieri che ancora oggi ci sono.
Come in tutto anche nel cinematografo Mons. Liviero prevenne i tempi; quando cominciò la mania del cinema Egli non potendo far costruire una bella sala come desiderava fece immani sacrifici per far restaurare e adattare l’ex chiesa di S. Egidio e adibirla a cinematografo, perché la gente veramente cristiana potesse avere un sano divertimento. In questa opera ebbe moltissime contrarietà e critiche, non comprendendo la Sua intenzione il popolino diceva che lo faceva anche per comodo proprio per guadagnare e divertirsi Lui stesso. Ma come sempre sfidò l’opinione pubblica e seguì personalmente i lavori di adattamento, dispiacente solo che la sala fosse troppo piccola.
In seminario c’era un teatrino dove recitavano i giovani e il Cav. Torrioli, presidente poi diocesano dei giovani, era l’organizzatore e uno dei primi attori. S. Eccellenza, mentre appoggiava queste recite che ricreavano e permettevano anche di avvicinare i giovani, non voleva le recite femminili, diceva che la donna è troppo ambiziosa e si rende civetta sulla scena. Per questo dovette combattere per le diverse recite in uso in città e fu felicissimo quando la G. F. nel 1918 proibì per prima cosa le recite.
Egli non tralasciava mai di assistere alle recite dei suoi giovani e con la consueta cordialità invitava tutti ad assisterle ed era un vero godimento vedere il Vescovo che dimenticava le sue preoccupazioni per pochi momenti e rideva di gusto alle farse.
Godeva che la gioventù si divertisse e si ricreasse, ma voleva evitare con ogni mezzo il peccato e permetteva, specialmente nel periodo carnevalesco delle innocue mascherate e dei trattenimenti che si protraevano fino all’ora della funzione serale.
Sul pulpito lo vidi dal primo discorso e poi tutte le sere un apostolo impareggiabile, maestro di fede, attaccatissimo alla S. Sede, innamorato delle anime. I Suoi insegnamenti erano così particolareggiati e profondi nello stesso tempo che erano alla portata di tutti e rimanevano talmente impressi. Il suo stile era così scorrevole e piacevole che incatenava l’uditorio per delle ore intere. Non ci si stancava mai di ascoltarlo e finito un discorso si pensava subito al giorno dopo per poterlo riascoltarlo. Non solo predicava tutte le sere in Duomo, ma teneva da sé le adunanze a tutti i 4 rami di A.C., la scuola di catechismo e varie adunanze. C’erano delle giornate che è arrivato a fare 20 discorsi in un solo giorno. Era infaticabile.
Andava nelle diverse parrocchie della città e predicava Lui tutte le novene, i tridui e i panegirici dei vari santi.
Mentre il suo carattere era molto paterno, familiare, non elogiava mai e non si accontentava del nostro operato, ci voleva più energici e spesse volte diceva: “Non date retta alla Virginia, perché il suo motto è: armiamoci e partite”.
Aveva un grande amore per l’Eucaristia, fece molti convegni Eucaristici per insegnare il galateo per stare in chiesa e ricevere con devozione i S. Sacramenti. Insistendo e battendo sempre per abituare alla S. Comunione quotidiana. Questo è stato per Lui un assillo che dimostra la sua sete di portare anime a Cristo. Sognava l’adorazione perpetua, ma per mille difficoltà non potè vedere realizzata.
Nel 1927 volle il Congresso Eucaristico, che preparò per tre o quattro anni di seguito. Egli stesso girò parrocchia per parrocchia della sua diocesi facendo la visita pastorale. Raccomandò questo Congresso cercò inculcare l’amore all’Eucaristia.
Il Congresso doveva essere un tributo d’amore di tutti i suoi figli a Gesù Sacramentato, e veramente fu così. Cominciò con le feste del centenario di S. Veronica e poi concluse la festa con una solenne processione alla quale prese parte S. Em. il Cardinal Pompili, che rimase meravigliato della corrispondenza del popolo e dalle molteplicità delle S. Comunioni. Da tutte le parrocchie della Diocesi vennero rappresentanze e siccome molte sono scomode vennero il giorno prima e pernottarono nelle scuole delle Salesiane dove fu improvvisato un dormitorio. In tutti il ricordo di questo Congresso rimase talmente impresso, che pur avendone fatto un altro non raggiunse l’apoteosi del primo.
Mons. Liviero era talmente felice dell’esito che non sembrava più una persona di questo mondo e alla stazione quando ringraziò i suoi figli pianse e quel discorso dopo 33 anni è ancora vivo e palpante e i padri lo ripetono ai figli.
Negli incontri privati che ho avuto con Mons. Liviero l’ho trovato sempre molto paterno, conciso, disposto ad aiutare tutti e sempre aveva da proporre qualche opera di apostolato che lo assillava. Era intuitivo, in poche parole capiva lo stato d’animo di chi gli stava davanti ed era pronto a porgere il suo aiuto paterno, a sollevare gli spiriti oppressi. Era pronto a ricevere tutti a qualsiasi ora del giorno ricorressero a Lui.
Se veniva a conoscenza di qualche unione illegale, di qualche scandalo pubblico, di qualche peccatore ostinato non era contento finché non riusciva a sanare la situazione, magari facendosi preparare prima la strada da qualche buona persona. Lui stesso andava al capezzale del moribondo e trovava il modo di sistemare ogni cosa.
Il suo assillo era la gioventù maschile e femminile che avrebbe voluto fosse modello di purezza e di bontà, perché fossero di buon esempio alla società e formassero delle famiglie veramente cristiane.
La sua cultura non era solo profonda nel campo religioso, ma era versatile anche in letteratura, nelle scienze, nell’astronomia, di stelle e costellazioni che erano il suo campo preferito.
Mons. Liviero al suo arrivo fu accolto con fischi e pomodori, perché era in piena efficienza il socialismo e il liberalismo, grande piaga della nostra zona. Egli si mise a combatterli subito in pieno e si scagliò in particolare contro la massoneria che lavorava nell’ombra. Dal pulpito infieriva contro loro, senza paura e senza limiti. Li invitava ad andare personalmente a discutere con Lui le loro idee. Senza contare poi i famosi articoli che confutavano i loro errori e metteva in allarme il pubblico perché non si lasciasse abbindolare dai mistificatori e dagli impostori.
Dato che le Salesiane avevano le scuole elementari per le bambine e per timore che i fanciulli fossero allontanati da Dio nella scuola, pensò di istituire una scuola veramente cattolica e dopo infinite peripezie potè aprire la scuola vescovile e per prime insegnanti mise sua sorella e alcune Suore. Queste ancora oggi sussistono e sono anche fonte di vocazioni sacerdotali.
Quando aveva da rimproverare un fallo lo faceva paternamente senza riguardo di chi lo aveva commesso, tanto fosse stato un nobile che un povero, un colto o un ignorante, per Lui erano anime del Signore.
Povero di nascita, di condizione umile non pensava mai a se stesso e ai bisogni della sua casa. Se riceveva un’offerta la dava subito in carità e quando non aveva denaro regalava la biancheria di casa o quella personale.
Per S. Carlo l’A.C. pensava a regalargli cose utili, biancheria e vesti, non gradiva niente perché invece di spendere per Lui si doveva pensare ai suoi poveri. Voleva i denari per poterli adoperare come voleva. La povertà fu amata da Lui come da pochi, tutto era troppo per Lui, mentre cercava di sollevare la povertà degli altri.
Durante la prima guerra mondiale si adoperò per sollevare ogni genere di miseria e di lutti. Visitava spesso gli ospedali della C.R.I. e con paterna parola consolava i feriti e aveva una pietà sentita per i congelati che rimanevano senza arti.
Vedendo il grande bisogno della nostra zona pensò di fondare un’opera a beneficio degli orfani di guerra. E’ impossibile raccontare l’assillo del Vescovo per poter realizzare l’opera. Si mise ad elemosinare presso la popolazione e mandava anche noi dell’A.C. Era talmente preso da quest’opera da sacrificare tempo, sonno e cibo. Per fondare le Suore voleva delle anime che non avessero volontà propria ma fossero talmente disciplinate e obbedienti all’autorità del Vescovo pro tempore, da non ricusare nessun apostolato. Era felice di vedersi contornato da tante piccole creature che erano divenute Sue. Non si può contare i suoi sacrifici per mandare avanti l’opera, si diede anche alle predicazioni nelle grandi città italiane pur di poter fare il bene con la sua parola e di aver mezzi per aiutare l’Ospizio.
Non contento della sua opera che non poteva abbracciare tutto il campo che desiderava pensò di aprire una pensionato per gli studenti e fece di tutto per comprare il palazzo Tini. Occorrevano denari e mi fece girare per le famiglie della città per avere le azioni che valevano 100 lire. La città a questo appello rispose in pieno e non so dire la festa quando potè vedere realizzata anche quest’opera. Alla quale mise a capo dei Sacerdoti, che oltre a curare il profitto nello studio, formassero buoni cristiani e degni cittadini, perché il suo amore principale dopo quello di Dio era quello della Patria. Il palazzo aveva bisogno di molte riparazioni, perché di costruzione vecchia e trascurata e a forza di sacrifici riuscì a renderlo efficiente e con tutte le esigenze del tempo.
Era amante della natura delle bellezze artistiche e tutto gli serviva per innalzare il suo animo al Creatore e portare gli altri a far lo stesso.
Ogni giorno pure stanco delle sue visite in Diocesi faceva una visitina alle sue opere e con il suo consiglio e la Sua parola spronava tutti a far bene. Non voleva vedere gli oggetti fuori posto o in disordine. Voleva anche che le sue Suore fossero sempre pulite, ordinate, allegre. Che tenessero con scrupolosa pulizia i bimbi loro affidati e con economia usufruissero della carità che ricevevano, niente doveva andare sciupato né perduto. Tutto era Provvidenza di Dio e perciò custodito gelosamente.
Arrivato in Diocesi il suo primo pensiero fu per il Seminario, in quell’epoca in decadenza e per poter meglio attendere al suo funzionamento chiamò dei bravi sacerdoti ad aiutarlo. Per far capire l’importanza del seminario anche ai laici, fece subito istituire l’opera delle vocazioni sacerdotali con uno statuto e regolamento che ancora oggi funziona. Elesse un consiglio di presidenza e in ogni parrocchia volle una delegata e delle zelatrici che facessero conoscere e amare il seminario, si prodigassero per cercare e coltivare le vocazioni. Oltre questo lavoro di apostolato pregassero e raccogliessero offerte mensili e annue per il Seminario e si prestassero per la raccolta del grano e di altri generi.
S’interessava degli studi dei seminaristi, assisteva agli esami, predicava anche a loro i ritiri mensili e curava la loro formazione spirituale, a tale scopo mise subito il padre spirituale. Presiedeva a tutte le adunanze delle zelatrici inculcando di pregare e lavorare per il Seminario.
Io che ho avuto l’occasione di avvicinarlo spesso per l’A.C. ho potuto constatare il suo grande amore per i sacerdoti. Come un padre solerte vegliava sui suoi figli e preveniva i loro bisogni.
Quando come Vescovo doveva essere severo con qualche sacerdote, il suo cuore ne soffriva acerbamente e si constatava dall’espressione del viso e della parola. Stava male tutto il giorno e alla notte non dormiva e i familiari lo sentivano camminare per la casa. Era felice quando poteva abbracciare i figliol prodigo, era più pronto Lui a perdonare che gli altri ad umiliarsi. Nei casi irreparabili dei suoi sacerdoti (ce ne sono stati tre o quattro) nei primi anni del suo episcopato, lo abbiamo visto trasformato, non era più Lui, ma accasciato dal dolore, mai una parola di biasimo, ma molte preghiere e lacrime e cercava con ogni mezzo di non lasciar trapelare lo scandalo e faceva di tutto per riabilitarli.
Allo scoppio del modernismo, anche la nostra città ebbe i suoi esponenti e Mons. Liviero attaccato com’era alla Chiesa lo combatté con tutte le sue forze creandosi dei nemici implacabili anche nel clero stesso che lo fece soffrire più di ogni altra cosa.
Alla propaganda protestante fatta con scritti, aiuti in denaro e stampa il Vescovo dal pulpito si scagliava contro questi ed era dispiacente che la gente si lasciasse abbindolare da questa propaganda e cercava con ogni mezzo che neppure una delle sue pecorelle andasse perduta. Siccome aveva invaso una parrocchia della sua Diocesi: Pietralunga, andò personalmente a confutare gli errori e mi raccomandava di insistere presso le ragazze che approfondissero lo studio del catechismo per non lasciarsi piegare dalla bufera.
Dopo il pensionato S. Cuore fondò il ricreatorio cattolico per i maschi con dopo-scuola. Mise a capo un buon sacerdote perché i ragazzi oltre ad una sana ricreazione avessero un aiuto anche nello studio.
Rimise in efficienza la conferenza di S. Vincenzo e presiedeva personalmente le adunanze e incitava a fare molta carità.
Nella nostra città era abitudine di spendere molto per lumi e fiori per i defunti; quando vide il cimitero una serra di fiori e luci pianse alla vista di questo paganesimo e accorato predicando al Duomo incominciò ad inculcare di suffragare i morti con le opere buone. La cera doveva essere offerta a Gesù Sacramentato e i fiori sostituiti con opere buone, da allora venne l’uso dell’elargizione per gli istituti e monasteri che è in vigore ancora oggi. Nelle diverse ricorrenze della vita: battesimi, prime S. Comunioni, matrimoni, cresime invece di fare grandi feste esteriori inculcò le opere caritative.
Aveva una devozione speciale per S. Teresina, perché, diceva, era una santa semplice, che non aveva fatto nulla di straordinario, ma solo aveva fatto bene il suo dovere e ce la portava per esempio.
Devozione particolare aveva per il Cottolengo e per il Curato d’Ars; nel primo ammirò la fede nella Divina Provvidenza e la sua carità, nel secondo vedeva il sacerdote semplice, ma pieno di fede, esempio luminoso di preghiera e di sacrificio, il vero pastore innamorato delle anime. Diede questi come patroni alla sua Opera.
Aveva una fede incrollabile nella preghiera, convinto della sua efficacia, nella voragine del suo apostolato si raccomandava in modo particolare alle monache di clausura che chiamava i parafulmini della città e diocesi.
Entrato un giorno nel monastero delle Murate, visto da vicino la loro grande povertà, si accorse che la popolazione, non conoscendole abbastanza, non le aiutava con la carità. Mi mandò a chiamare, mi raccomandò di farle conoscere di parlare con le mie conoscenze in modo da ottenere loro aiuti. Non contento di questo scrisse alla S. Sede chiedendo il permesso di farmi entrare in clausura perché insegnassi loro un po’ di lavoro, la cucina, in una parola le aggiornassi in modo che potessero migliorare con il lavoro le loro condizioni. Continuamente le andava a trovare e si informava se le loro condizioni miglioravano, se arrivava la Provvidenza, com’era la loro salute.
On seguito mi mandò anche nel monastero di S. Cecilia ad insegnare anche a loro il lavoro, perché potessero vivere.
Sembrava impossibile che un uomo, preso dal lavoro com’era Mons. Liviero, avesse il tempo e la delicatezza di seguire da vicino questi monasteri e di aiutarli con tutti i mezzi.
Chi ha criticato Mons. Liviero è segno che non l’ha conosciuto bene e non l’ha seguito da vicino, altrimenti era impossibile criticare un uomo così pieno di carità e zelo, nessuna anima veniva trascurata.
Mentre era fiero come un leone nell’affrontare il nemico e nel combattere l’errore, era ipersensibile per tutte le miserie umane e quando lo si vedeva accigliato e burbero impressionava chi lo avvicinava, perché abituati a vederlo sempre paterno e sereno, in quelle occasioni era segno che qualche grande dispiacere lo aveva turbato, non che fosse in collera; il dolore delle anime lo abbatteva, bastava però una parola faceta perché ritornasse sereno. Se poi qualche volta scattava era così umile, dispiacente di aver dato cattivo esempio che era il primo ad umiliarsi e a chiedere scusa, non era tranquillo finché la persona offesa non gli faceva capire che non ci pensava più.
Quando venne a Castello il Duomo non era ufficiato e molto trascurato, Egli per mettere in efficienza la sua cattedrale si mise a fare anche il sacrestano e tutto perché la gente potesse comodamente assistere alle funzioni. Comprò anche le seggiole e fece fare le panche, perché diceva, non si può pregare bene ed ascoltare la parola di Dio se non si è comodi.
Se accendeva le candele, trasportava il pulpito e le panche era unicamente perché nessuno lo faceva e nella sua umiltà stimava giusto fare anche questo, per il bene delle anime.
Uomo senza complimenti, ma raffinato di sentimenti cercava di avvicinare tutti bonariamente e paternamente. Generalmente lo scrivere era per Mons. Liviero una perdita di tempo, lo faceva unicamente per dovere. Invece leggeva moltissimo, specialmente di notte, per accrescere la sua cultura, e avendo avuto dalla natura una memoria straordinaria una volta letta una cosa non la dimenticava più.
Finita la guerra mondiale, mentre tutte le città d’Italia pensarono a innalzare monumenti ai caduti Mons. Liviero radunò tutte le personalità della città e come sapeva fare Lui disse: “Non buttiamo i denari nel marmo che resta freddo e muto, ma facciamo un monumento che irrobustisca e fortifichi i nostri figli nell’anima e nel corpo”.
Nacque così l’idea della colonia marina a Pesaro. Subito ideò una sottoscrizione per azioni, offerte e dopo molte ansie e preoccupazioni poté vedere realizzata la grande colonia S. Cuore. Incominciò subito un corso di esercizi spirituali per le giovani predicati da Lui stesso. Era bello alla sera vederlo seduto alla spiaggia ed indicare stelle e costellazioni, si trasformava tutto nell’ammirare il cielo. Finiti gli esercizi tratteneva due o tre giorni le ragazze per ricrearle ed era Egli che suggeriva scherzi e ricreazioni e rideva beatamente di tutte le burle. Non voleva mai persone meste o musone, diceva che l’anima in grazia di Dio deve essere sempre serena, non mostrare musi e caratteri scontrosi, perché questi allontanano le anime invece di avvicinarle.
Ogni stagione estiva faceva due o tre corsi di esercizi per diversi rami, sempre predicati da Lui. Molte erano portate gratuitamente, diceva: “Il Signore penserà per voi”. Sorvegliava tutto anche il cibo, cercava di accontentare tutte, anche con la disperazione delle cuciniere che dovevano fare tanti piattini.
Anche dopo l’incidente automobilistico quando lo andai a trovare mi raccontò di far fare gli esercizi come erano stati fissati, perché non voleva che per causa sua fosse rimandato tanto bene per le anime.
Dopo 22 anni di lavoro indefesso, mentre nel suo ingresso a Città di Castello era stato accolto con fischi, quando ritornò la sua salma fu accolta con un urlo di dolore, i singhiozzi scuotevano tutti i petti, fu una dimostrazione unanime di affetto per il pastore scomparso.
I tre giorni che la salma rimase esposta in Duomo fu un pellegrinaggio continuo di ammiratori e di figli affezionati. La preghiera vocale era continuata giorno e notte. Quando la salma venne portata provvisoriamente al cimitero la folla che seguiva era tanta che solo gli infermi più gravi rimasero a casa. Non si vide mai una simile moltitudine seguire un feretro.
Virginia Sinnati