Mons. Bonaventura Porta introduce Carlo Liviero a Pesaro
Pesaro 25 – 10 - 2007
Mons. Bonaventura Porta fu a Città di Castello il braccio destro di Carlo Liviero solo per pochi anni: dal 1912 al 1917, ma sufficienti a creare un profondo legame di amicizia, di fiducia, di collaborazione.
La loro era una sintonia di anime innamorate di Dio, di un Dio Padre capace di misericordia e compassione nei confronti dell’uomo.
Anche il motto dei due stemmi vescovili esprime la somiglianza spirituale e apostolica dei due Vescovi. “In caritate Christi” di Carlo Liviero, “Ubi caritas ibi pax” di Bonaventura Porta: la caritas è stata l’anima della loro azione pastorale.
Di ambedue, cioè di Liviero e di Porta i biografi scrivono “Viveva col popolo…camminava sulla strada del popolo…povero tra i poveri… sapeva comprendere il linguaggio dei semplici “ (cfr Audio mostra fotografica Carlo Liviero pastore, apostolo, fondatore Cdc 1990. - Mons Bonaventura Porta atti del Convegno nel 50o anniversario della morte PS 2003); e ancora “Un pastore che governa, che amministra, ma che sa che la sua prima missione è quella di annunciare e testimoniare che Dio è amore e chiama tutti alla salvezza e alla santità” (cfr 1a lettera Pastorale di C. Liviero; atti del Convegno di PS su Mons. Porta).
Sono simili le insistenze che si possono trovare nelle Lettere Pastorali dei due Vescovi, anzi sarebbe una cosa ottima proporre uno studio approfondito e un particolare accostamento di queste Lettere Pastorali.
Negli atti del Convegno in occasione del 50o anniversario della morte di Mons. Porta si legge: “La vicinanza e la collaborazione con Mons. Liviero ebbero un effetto positivo sulla personalità e sulle capacità espresse nel ministero da don Bonaventura” (op. citata pag. 45). Come sappiamo Mons Porta fu Rettore del Seminario e Vicario Generale della diocesi di Città di Castello e Carlo Liviero doveva fidarsi talmente del suo Vicario da chiedere a lui quale nome dare alla Congregazione di suore che egli aveva fondato. Fu proprio mons. Porta che, intuiti i due tratti costitutivi del suo stile di vita, l’umiltà e la povertà, gli suggerisce di chiamarle “Piccole Serve del Sacro Cuore”: umili quindi, al servizio e con lo spirito di misericordia e compassione del Cuore di Cristo.
Quando Bonaventura Porta viene nominato vescovo di Pesaro, il primo biografo di Liviero scrive: “Primo a rammaricarsi della nomina fu mons. Liviero che veniva a perdere contemporaneamente in lui un valido e intelligente collaboratore nel governo della diocesi e una guida illuminata e preziosa per i suoi seminaristi” (cfr Malvestiti pag 121).
Ma i due Vescovi non si perdono di vista.
Nel 1923 mons. Porta chiede a Carlo Liviero le suore Piccole Ancelle del Sacro Cuore per la Colonia Elioterapica antitubercolare di Pesaro. Mons. Porta non sa o finge di non sapere che quell’invito darà vita a nuove opere di carità e profezia che hanno scritto e scrivono pagine di storia di questa città …, invita, indica la strada … e sa che Carlo Liviero la percorrerà col cuore del Samaritano.
Carlo Liviero le invia volentieri pensando anche di offrire l’opportunità di cure a qualche bambino bisognoso della sua diocesi. Ma il beato non sospetta minimamente che la Provvidenza lo attenda proprio lì per mettere nuovamente alla prova il suo slancio apostolico.
Forse l’idea di aprire una colonia non gli sarebbe venuta se, nell’estate del 1924 non avesse visto rifiutata perché febbricitante, una povera bambina della sua diocesi.
Freme di fronte al rifiuto e non ha esitazioni: ci sarà una colonia per i bambini bisognosi di Città di Castello. Si confida con mons. Porta che non manca di incoraggiarlo e, tornato a Città di Castello, lancia il suo appello ai diocesani.
La carità di Carlo Liviero è sempre stata caratterizzata da concretezza e lungimiranza: non si ferma di fronte agli ostacoli, ma “fidente della carità di Cristo, fidente nell’aiuto dei buoni cristiani …” (cfr Voce di Popolo giugno 1915), dà vita ad opere che, agli occhi dei posteri sembrano grandiose, ma per lui erano una semplice risposta al bisogno del “fratello”.
Era da poco terminata la grande guerra e, risanate alla meglio le ferite, nelle città si pensava ad erigere dei monumenti. Carlo Liviero non è per i freddi marmi: per lui anche un monumento deve essere vivo, avere un cuore, palpitare.
Così comunica l’idea ai suoi diocesani: “non buttiamo il denaro nel marmo che resta freddo e muto, ma facciamo un monumento che irrobustisca e fortifichi i nostri figli nell’anima e nel corpo” (cfr scritti Pastorali, vol.3°, pag 258-260 ). I suoi diocesani ormai lo capiscono, hanno imparato dal loro vescovo che possono essere strumenti della Provvidenza per i loro figli più bisognosi e rispondono con generosità.
Carlo Liviero torna a Pesaro e su consiglio di Mons. Porta incarica il Vicario Generale Mons. Stamigioli di acquistare un tratto di spiaggia.
Lo trova ai piedi del Colle Ardizio, isolato e sassoso, “laggiù, dove la città finisce e la spiaggia è più appartata (cfr Frutti di un apostolato 1928). In mancanza dell’edificio, ottiene dal Governo tre tende militari, tre tende Sargotto nuove, complete di lettini da campo e cucina.
Inizia così l’attività della Colonia Sacro Cuore, nella povertà più assoluta, ma in quella gioia e fiducia in Dio che riescono ad alimentare grandi speranze e grandi sogni.
È necessario costruire quanto prima un edificio in pietra perché spesso la notte le suore sono costrette a lottare contro il vento che vuole portarsi a spasso le tende con tutto quello che contengono. Nel marzo 1926 si iniziano i lavori per la costruzione di un edificio ampio e funzionale che cresce a poco a poco con la carità e la generosità di tutti. Carlo Liviero lo sente crescere come una sua “creatura”, come il proseguimento della grande opera caritativa che era l’Ospizio per i bambini orfani e abbandonati. Ne segue personalmente i lavori quasi a voler imprimere in ogni pietra un po’ del suo calore paterno e tanto, tanto calore dell’immensa bontà di Dio che si china sui piccoli, gli emarginati, gli esclusi. In un periodo in cui era molto facile sentirsi presentare l’immagine di Dio giudice, egli con la sua vita presenta l’icona di un Dio padre amorevole, misericordioso chino costantemente , sull’uomo in difficoltà, sul piccolo, il povero, colui che non vale niente.
Come sempre condivide con i suoi diocesani tutto ciò che avviene, ne parla dal pulpito e attraverso le pagine de La Voce del Sacro Cuore, il bollettino dell’ Ospizio, dal momento che Voce di Popolo, l’organo di informazione diocesano era stato soppresso dal governo fascista.
“Chi si reca a Pesaro, scrive un visitatore, e visita la Colonia Marina del S. Cuore, può ammirare gli sforzi di un uomo votato completamente al bene materiale del prossimo e alla sua salvezza spirituale, perché sempre a questo mirano le opere varie e molteplici del Vescovo: dare col soccorso materiale il cibo spirituale, vita delle anime. (Cfr La Voce del S. Cuore, settembre 1926).
È piacevole e interessante scorrere e leggere le brevi notizie scrupolosamente affidate alle pagine della modesta rivista. Vi si possono scorgere gioia, gratitudine, speranza e non poche preoccupazioni.
Un bell’edificio funzionale e arioso sostituisce ben presto le tende. Riesce a ospitare anche 400 bambini che ritornano alle loro case “abbronzati e irrobustiti dal sole nel corpo e fortificati nell’anima..” (cfr. op. citata, settembre 1927)
Carlo Liviero va spesso a trovare i bambini della sua diocesi, si interessa della loro salute, dei loro piccoli problemi, con loro parla, gioca … a sera, seduto sulla spiaggia insegna loro il nome delle stelle di fronte al mare rumoreggiante e benefico e parla della grandezza di Dio.
Tutto sembra procedere per il meglio, ma all’orizzonte dell’estate 1932 appaiono delle grosse nubi: le difficoltà si sommano, ingigantiscono … mancano i bambini.. Quando tutto si appiana e si risolve, egli parte per andare a vedere, ma non arriverà a Pesaro. Il suo viaggio terreno viene interrotto a Fano, appena passato il ponte sul torrente Arzilla. Un incidente. Ricoverato in ospedale ecco accanto a lui l’esile figura di Mons. Porta.
L’amico, colui che gli era stato vicino nei difficili momenti di Città di Castello, che è stato strumento della Provvidenza nell’offrirgli l’opportunità di arrivare a Pesaro.
Sarà lui ad accogliere le ultime espressioni di fede di questo grande uomo di Dio: “ho combattuto la buona battaglie, ho terminato la corsa, ho conservato la fede…Te Deum laudamus…”(cfr Cronistoria dell’Istituto delle Piccole Ancelle del S. Cuore ; Malvestiti pag. 248)
C’era Mons. Porta in quella stanza d’ospedale, quando sul letto di morte alle sue suore raccomanda: … “e voi continuate…” continuate con fede, con umiltà, con coraggio…
Ecco perché, quando una seconda guerra vedrà prima la Colonia trasformata in Ospedale militare, poi, il 12 settembre 1944 saltare in aria con ben 60 mine, le suore non piangeranno sulle macerie, ma forti di quel testamento e “fidenti nella bontà del Cuore di Cristo che con tenere parole invitava i pargoli a venirsene a lui, … fidenti nell’ aiuto di tutte le persone di buona volontà” hanno guardato avanti per ricostruire e scrivere nuove pagine di storia e di profezia per i nostri giorni.