All’inizio
del novecento, appena divenuto Vescovo di Città di Castello, Liviero operava
non solo ‘per’, ma ‘con’ i ragazzi più poveri e abbandonati in una città che
stava vivendo uno sviluppo tumultuoso, afflitto purtroppo da immense sacche di
povertà, di violenza. Inoltre, si stava infittendo una ‘cintura nera’ fatta di
baracche affollate dagli immigrati più poveri. Ondate sempre più numerose di famiglie
contadine poverissime e di giovani soli abbandonavano le campagne e venivano a
cercar lavoro e fortuna nella città, affollandosi nelle catapecchie che
nascevano qua e là. Quei giovani, molti appena ragazzi, se non ancora bambini,
venivano impiegati e sfruttati nei grandi cantieri della zona, nelle imprese
manifatturiere, filande, concerie, fornaci, fabbriche.
La
sconcertante attualità di situazioni di questo tipo riempie gli occhi e l’anima
di tutti quelli tra noi che visitano Paesi poveri, ma anche di quelli tra noi
che hanno occasione di entrare in
contatto con le
sacche di povertà e violenza della nostra società. È proprio la dimensione
mondiale che assumono questi fenomeni che spinge a richiamare con forza l’attenzione
su Liviero per imparare da lui a “educare con il cuore di Dio, per lo sviluppo integrale
della vita dei giovani, soprattutto i più poveri e svantaggiati, promuovendo i
loro diritti”.
L’opera
del poverissimo Vescovo cominciò sotto una
tettoia, in un orto in disuso dove venivano fabbricate candele per questo
denominato Orto della Cera e diede vita a una scuola vescovile, a laboratori
per avviare all’arte e mestieri, una “casa” per bambini resi orfani dalla
guerra, l’impegno incessante per lotta contro le ingiustizie e soprusi ma ciò
che fu la sua vera anima, Il suo carisma di santo educatore ed educatore santo, fu il suo
amore per i ragazzi più poveri ed abbandonati che ha anticipato,sotto tanti e
molteplici aspetti, teorie ed opzioni della moderna pedagogia e, in
particolare, la visione che oggi definiamo basata sui diritti umani dei bambini
e degli adolescenti.
In
un contesto in cui il bambino, il ragazzo “bisognoso”, perché povero, analfabeta,
abbandonato, migrante è visto come un deviante, una minaccia per la società,
cui corrispondono politiche repressive da parte delle istituzioni, mons.
Liviero ribalta la visione e l’approccio educativo, e dà fiducia al ragazzo,
crede nelle sue capacità come persona, soggetto del proprio sviluppo e di
quello della comunità in cui vive, il ragazzo emarginato non è un beneficiario passivo,
un semplice destinatario di assistenza, al quale offrire delle cose e dei
servizi.
Questa
è una nuova visione del ragazzo emarginato, della relazione educativa tra
educando ed educatore, che anticipa quella visione del ragazzo come soggetto di
diritti, che la Convenzione di New York ha sancito per la prima volta vent’anni
fa, il 20 novembre del 1989, in uno strumento di diritto internazionale oggi
legalmente vincolante per 193 Stati.
L’ideale
di Carlo Liviero ha oggi una grande
attualità ed un’ampia proiezione sociale: vuole collaborare con molte altre agenzie
alla trasformazione della società, lavorando per il cambio di criteri e visioni
di vita, per la promozione della cultura dell’altro, di un atteggiamento
costante di impegno per la giustizia e la dignità della persona umana.
Tocchiamo
con mano ogni giorno il fatto di aver costruito un sistema non solo finanziario
ma anche economico basato su dei falsi valori. Tocchiamo con mano i danni fatti
all’ambiente e l’impatto che questi hanno sul clima, sui popoli, sullo
sviluppo.
È il momento di
propugnare autenticità, solidarietà, sobrietà, per una nuova cittadinanza
mondiale attiva e responsabile, in grado di scardinare l’angusto concetto di
cittadinanza anagrafica e/o nazionale nel nome di una cittadinanza planetaria,
per rimuovere le cause profonde di ingiustizia, di povertà, di esclusione. Il nostro
lavoro con i più poveri, i più bisognosi, non può essere un’opera “palliativa”
per attutire la sofferenza, ma deve essere trasformatore della società.
Come
figli di Mons. Liviero, eredi e depositari del suo carisma, la sfida è per noi
incentrata però, più che sulla denuncia, sulla prevenzione, sull’educazione preventiva,
sul rompere il circolo vizioso che perpetua le continue violazioni dei diritti
umani e della dignità della persona, sul promuoverne una cultura diffusa,
capace di uscire dalle stanze dei giuristi e dei filosofi del diritto per farsi
patrimonio dell’umanità.
La
sfida per noi è quella di educare i giovani alla partecipazione e all’impegno
individuale e sociale per lo sviluppo umano, a farsi soggetti attivi di una
nuova cittadinanza mondiale responsabile.
Di
fronte alla “emergenza educativa” che caratterizza l’attualità con grandi
polarità e ambivalenze, di fronte ad un’educazione che spesso è considerata in
una “logica di mercato”, di fronte ad un’educazione troppo spesso asservita al
mantenimento di uno status quo che continua a privatizzare la ricchezza e a socializzare
ogni forma di povertà, di fronte alla frattura tra educazione e società, al
divario tra scuola e cittadinanza, accogliamo la sfida che Liviero ci
“consegna” per valutare la qualità delle nostre proposte educative, la capacità
di far maturare nei
giovani, e non
solo, i valori universali di rispetto e di promozione della dignità della
persona umana, di responsabilità personale e sociale per la giustizia e la
solidarietà, di cittadinanza attiva.
In
un contesto di laicismo militante ed esacerbato, che tende a cancellare valori
che invece appartengono anche al mondo laico, i diritti umani sono uno
strumento in grado di oltrepassare gli
angusti confini
nazionali per porre limiti e obiettivi comuni, creare alleanze e strategie e
mobilitare risorse. Promuovere i diritti umani come via per la promozione di
una cultura di pace e di sviluppo umano, come impegno per la giustizia e la
dignità di ogni persona sono la sfida di ieri ma anche dell’oggi.
Intorno a questa sfida siamo tutti e ciascuno chiamati ad unirci in un’alleanza incisiva ed efficace. A noi ora la responsabilità delle nostre scelte.
Sr Anna Paola Venditti